Verso il Sudafrica fra cinismo e performance

Con i Boks la mission impossible del mondiale azzurro. Con alcuni però.

Essere un tifoso della nazionale italiana di rugby è una grande prova di fede. Quando arrivano delle vittorie come quelle con il Canada prendiamo una bella boccata di ossigeno e ci riconciliamo con i nostri colori preferiti. A volte ci vuole, soprattutto per gratificare chi va in campo e ci mette la faccia. Ora però il tempo di godersi il successo di Fukuoka è scaduto perchè  c’è già un esercito di appassionati che si mette a fare i calcoli su cosa ci serve per passare il turno e volare ai quarti di finale. La risposta è semplice: battere il Sudafrica. Lo sanno anche i muri. Gli stessi muri che sanno quanto oggi gli Springboks siano un avversario proibitivo. Ma andiamo con ordine.

Il match fra Italia e Canada si è portato con se alcuni dati statistici confortanti. Non vincevamo due partite consecutive dal 2016 quando durante la tournèe estiva con un Conor O’Shea appena insediato, prima gli USA e poi il Canada furono battute in successione. Un inizio di gestione tecnica che folgorò un po’ tutti e poi proseguì con la storica vittoria di Firenze proprio ai danni del Sudafrica più brutto di sempre. Tornando a Italia – Canada anno 2019 emerge anche il buono stato di forma dell’attacco azzurro che ha segnato 95 punti (con 14 mete) in due partite e momentaneamente risulta il più prolifico del mondiale. Vanno forte i nostri finishers Minozzi e Bellini, rispettivamente autori di 5 e 6 mete fra Warm Up Matches e RWC. La testa della classifica nella pool B è un ulteriore dato oggettivo che ci rallegra. Al momento però dobbiamo considerarlo uno zuccherino e nulla più. Quello che invece conta davvero è aver ottenuto il pass per Francia 2023. Considerando le premesse del 2019 non era per niente scontato.

Volendo essere un po’ mascalzoni potremmo riporre l’ascia di guerra e goderci la gita giapponese cercando di fare due partite dignitose con Sudafrica e Nuova Zelanda, magari intervallate da un bel susseguirsi di eventi collaterali con i simpatici tifosi nipponici. Poi l’aereo di ritorno decolla, i riflettori si spengono, i giornali ci ricollocano nel consueto trafiletto e siamo tutti (più o meno) contenti. Invece non può e non deve essere così. L’Italia con il Canada ha dimostrato che qualche carbone ardente sotto la cenere ancora c’è. Il fuoco dell’attitudine però non è valido se soffia solo quando le prestazioni calano e l’insoddisfazione del movimento rugbistico italiano sale. Sia chiaro, che la vittoria con i nordamericani fosse nelle nostre corde era cosa risaputa. Ora però si apre un capitolo che mette la squadra con le spalle al muro. Niente da perdere, nessuno che spera nella qualificazione e un esercito di critici che si è momentaneamente placato. E’ una condizione ideale per affrontare il Sudafrica e per chiudere idealmente quel cerchio che O’Shea ha aperto nel 2016. Non dobbiamo perdere l’opportunità di trovare quegli stimoli di ferocia agonistica che un gruppo di professionisti arriva ad avere solo in alcuni momenti della carriera. Fra questi momenti c’è la Coppa del Mondo.

Il Sudafrica in questo momento è una brutta gatta da pelare. Nella gara di esordio hanno ribadito di essere l’alter ego più credibile ai fenomeni neozelandesi. Noi ci eccitiamo per un Jake Polledri in modalità schiacciasassi e loro rispondono con Pieter Steph Du Toit in versione extraterrestre. Noi brindiamo ad un Minozzi ritrovato e loro rispondono con un Kolbe inarrestabile. Noi riprendiamo fiducia per una prima linea più confidente e loro probabilmente ci metteranno davanti un terzetto esplosivo come quello composto da Kitshoff, Marx e Malherbe. Vista così non abbiamo speranze. Però dobbiamo provarci e dobbiamo farlo con una grossa carica agonistica abbinata ad una robusta iniezione di cinismo. Alzare il ritmo con le squadre di Tier 2 ci riesce bene, è assodato. La vera prova del nove consiste nel capire quando abbassare i giri del motore in funzione di un match tatticamente e fisicamente molto più probante. Troppe volte gli azzurri ci hanno abituato ad un’interpretazione della partita monodimensionale che di fatto non cambia la trama sia che di fronte ci sia il Sudafrica o la Namibia.

Il peso specifico fra le due compagini che si affronteranno venerdì 4 ottobre è sbilanciato nettamente verso il gialloverde dei Boks. Impossibile negarlo. Loro vogliono vincere la RWC e noi non possiamo travestirci da favoriti solo perchè siamo primi nel girone, sarebbe ridicolo. Anzi dovremo proporre un rugby di sostanza, utilizzando al meglio le caratteristiche complementari delle terze linee Steyn, Polledri e Negri, aumentando l’efficacia e la quantità del gioco al piede, dando una consegna precisa ai nostri trequarti: placcare come tagliole e cercare di garantire il possesso con scelte semplici, quasi banali. Il Sudafrica di Erasmus infatti è una squadra multitasking, ben lontana dallo stereotipo tutto mischia e raziocinio della decade scorsa. Regalare dei palloni ai loro velocisti significherebbe esporsi a contrattacchi suicidi e subire le cosiddette ‘easy try’ a cui siamo tristemente abituati. Insomma è arrivato il momento di riappropriarsi di un brutale cinismo che troppo spesso abbiamo riposto nei cassetti per dare spazio ad una ricerca del gioco espansivo che non sempre è nelle nostre corde. O che almeno non può esserlo in un Mondiale dove le chiacchiere e gli esperimenti contano zero. Qui conta solo vincere.

Nonostante si tratti di un incontro che formalmente è uno spareggio, nessuno chiede agli azzurri di scalare una montagna per cui non sono equipaggiati. Come andrà a finire forse lo intuiamo. Tutti chiediamo adesso quella famosa ricerca della prestazione su cui lo staff tecnico ha costantemente puntato il focus, a volte per nascondere sconfitte indifendibili. Creare dei dubbi al Sudafrica? Si può fare.  Perchè parafrasando il vecchio saggio della palla tonda Vujadin Boskov “Mondiale finisce quando arbitro fischia” e il nostro ha ancora 160 minuti di battaglia da onorare.