Il borsino di fine anno

Top e Flop del rugby internazional - nazionale, anno del signore 2019.

Un anno di rugby internazionale è difficile da classificare. Questo ultimo borsino del 2019 cerca di riassumere chi è andato al Top e chi ha fatto Flop, tenendo presente che omissioni, dubbi e scelte discutibili sono insite nel nostro modo dichiaratamente parziale di vedere il rugby. Insomma, state per leggere una summa di quello che ci è piaciuto o non piaciuto nel corso dell’anno, dividendo in tre categorie: squadre, giocatori ed allenatori.

Se non ve lo avessimo già detto: buon anno!

E scaldatevi che il Sei Nazioni arriva presto…

  • I TOP
Squadre

Sudafrica. Gli Springboks potrebbero riempire tutte (o quasi) le caselle dei Top del 2019. Hanno vinto il Mondiale, il Rugby Championship e soprattutto si sono riappropriati, grazie ad una conduzione tecnica magistrale, di un rugby minimalista, efficace e vincente.

Stade Toulouisan. Al posto loro dovrebbero esserci i Saracens, ma lo scandalo del salary cap ci impedisce di considerarli. Sono tornati Campioni di Francia rimarcando l’identità di un gioco aperto e spettacolare, tipicamente tolosano. Passati non senza bocconi amari  gli anni di buio, oggi Tolosa sta riprendendo quota anche in Europa. Nel 2020 ci aspettiamo che i rouge et noir possano essere i veri rivali dello schiacciasassi Leinster.

Galles. Il progetto tecnico pluriennale di Gatland ha toccato l’apice nel 2019. Dal Sei Nazioni alla vetta del ranking mondiale possiamo dire che i Dragoni hanno vissuto una escalation memorabile.

Jaguares. Hanno fatto la storia del Super Rugby arrivando a giocare la prima finale assoluta di una squadra non all’interno del SANZAR. Emblema di un rugby ordinato e arcigno. Solo il talento palla in mano dei frombolieri Crusaders ne ha bucato l’ermetismo difensivo. Meritano la foto ricordo del 2019.

Lazio. Spostandoci sul rugby di casa nostra, non possiamo chiudere gli occhi di fronte al risultato della Lazio Rugby 1927. Il 12 maggio 2019 hanno compiuto l’impresa di conquistare la salvezza nello spareggio di Padova ai danni del Verona. Dieci mesi fa il dramma della penalità e del conseguente fondo classifica. Poi una rimonta rabbiosa fino al calcio di punizione di Bonifazi che piega i neopromossi veronesi e salva una stagione.

Giocatori

Nasi Manu. La malattia, la solidarietà, la lotta per sopravvivere, il ritorno in campo. Un 2019 che Nasi Manu ha vissuto come esempio mondiale di coraggio a cui tributare una standing ovation.

Kenki Fukuoka. Nonostante fosse arrivato al mondiale di casa con l’annuncio del ritiro dal rugby giocato già in tasca, il piccolo trequarti ala giapponese ci ha fatto divertire a suon di mete. Lascerà il rettangolo di gioco per intraprendere la carriera medica. A suo modo memorabile sia per ciò che ha fatto in campo sia per ciò che farà con il bisturi in mano.

Sonny Bill Williams. Il suo passaggio al rugby union squarciò la tela della palla ovale mondiale introducendo il concetto di star system. Dopo una carriera tanto brillante quanto movimentata è approdato ai Toronto Wolfpack in Rugby League a suon di milioni di dollari. Sembrava tramontato, ma la sua copertina nel 2019 l’ha ottenuta ugualmente.

Martin Bustos Moyano. Nella semifinale di Pro D2 del 18 maggio Bayonne termina il primo tempo in svantaggio per 27 a 9 in favore di Oyonnax. Al 60′ entra in campo lui, l’uomo che ha segnato un’epoca sulla costa atlantica. Il fatto di essere ormai a fine contratto, in rotta con il club, e sicuro di non rinnovare la stagione seguente per Moyano non conta nulla. In 20 minuti realizza una meta, due trasformazioni e una punizione che valgono il 38 a 34 finale. Esempio totale di cosa significhi professionalità ed attaccamento ai colori a prescindere dal vil denaro.

Alun Wyn Jones. Gigantesco in ogni cosa che ha fatto durante il 2019. Al termine della RWC 2015 Richie McCaw ci ricordava come si conduce la propria squadra con i galloni da capitano. Oggi il riferimento mondiale dell’uomo che si carica la squadra sulle spalle è lui. Lunga vita Alun Wyn!

Allenatori.

Eddie Jones. La sconfitta in finale con il Sudafrica non può rovinare un 2019 di spessore per il coach dell’Inghilterra. Ha rivitalizzato una squadra, ridato fiducia ad un movimento e soprattutto ha sconfitto gli All Blacks con un game plan architettato da grande stratega. Noi lo mettiamo fra i top senza indugi.

Kieran Crowley. Il coach della Benetton ha introdotto una nuova etica lavorativa che trova compimento nella sua forma gestionale. La franchigia italiana infatti è diventata forte quando anche lo staff si è rinforzato. Molte competenze tecniche specifiche al servizio di un management esperto, che nella rotazione dei giocatori ha creato il suo valore aggiunto. Kieran da Kaponga è stato eletto Coach of the Year del Pro 14. Meritatamente aggiungiamo noi.

Massimo Brunello. Il suo Calvisano è sempre al centro delle polemiche fra federali e anti federali. Lui però giustamente se ne infischia e molto educatamente risponde con i risultati.  I lombardi sono la squadra più vincente del campionato italiano dell’era post Celtic League.  Il coach rodigino lascia i giocatori liberi di esprimersi in un sistema di gioco chiaro e produttivo. Un applauso a lui gentleman del rugby italiano ogni tanto andrebbe fatto, specialmente quando gli scudetti si vincono sul campo.

  • I FLOP

Irlanda. Gli uomini di Schmidt sono venuti a mancare sul più bello. Dal 2018 come annus mirabilis al 2019 annus orribilis il passo è stato troppo breve.

Saracens. E’ dura mettere qui fra i flop i campioni d’Europa e d’Inghilterra. Quel pasticciaccio brutto del Salary Cap però è difficile da lavare con un colpo di spugna. La squalifica di 35 punti li declassa d’ufficio. I 5 milioni di sterline li penalizzano nel budget. Le accuse di anti sportività da parte dei rivali invece restano macchie indelebili.

Argentina. Ledesma non è stato capace di creare una discontinuità fra la nazionale e i Jaguares. La policy che respinge molti dei giocatori impegnati all’estero, vista a posteriori, è una grande stupidaggine. In generale ciò che rende il 2019 un anno negativo è la totale mancanza di risultati fra Championship e Mondiale.

Leicester Tigers. Lontani i tempi in cui le tigri di Welford Road mettevano paura a tutti. Oggi sono penultimi in classifica dopo un campionato 2018/19 in cui lo spauracchio della retrocessione è rimasto sulle spalle dei giocatori fino alla fine della Premiership.

Giocatori.

Aphiwe Dyanti. Eletto nel 2018 World Breakthrough Player of the Year, ricorderà il 2019 non come l’anno della consacrazione bensì come quello della squalifica per doping prima della RWC.

Sebastien Vahaamahina. Più che un anno negativo è stato un anno in rosso. A febbraio propizia l’intercetto che regala la vittoria al Galles nel primo match del Sei Nazioni. Otto mesi dopo, durante il quarto di finale della RWC sempre con i gallesi, assesta una gomitata a Wainwraight e lascia i suoi compagni in 14, condizionando in maniera irreversibile l’accesso alla semifinale dei blues.

Israel Folau. Irremovibile sulle sue posizioni omofobe in sostanza ha buttato via il percorso internazionale per un braccio di ferro con la federazione australiana che non ha portato benefici a nessuno.

Allenatori.

Gregor Townsend. Premessa doverosa: chi scrive pensa che l’ex coach dei Glasgow Warriors sia uno dei migliori condottieri del rugby internazionale. Purtroppo la scarsa capacità di far cambiare pelle alla sua Scozia e il relativo fallimento mondiale non possono essere nascosti e “Tooney” finisce di conseguenza fra i bocciati.

Rob Howley. La vicenda che lo ha visto coinvolto in un sospetto giro di scommesse ne cancella le velleità di carriera. In questo 2019 difficile trovare un coach che si sia dato la zappa sui piedi in modo così evidente come l’ex numero 9 del Galles.

Heineke Meyer. Un anno e mezzo per rottamare il vecchio Stade Francais non è bastato. La nouvelle vague dei parigini non è mai iniziata e anzi, con un budget faraonico a disposizione, la squadra è andata a peggiorare. Licenziato a novembre si guadagna l’etichetta del flop praticamente honoris causa.