Equiparato si, purchè sia ponderato

Ioane è il volto nuovo fra i convocati di Smith

“Fusse che fusse la vorta bbona”, diceva Nino Manfredi in un celebre tormentone di Canzonissima 1959-60. Forse è  la volta buona anche per  il matrimonio sportivo fra la nazionale italiana di rugby e Monty Ioane.

Primo round di convocazioni estive e prima chiamata per l’asso della Benetton, ormai pronto ad essere equiparato a tutti gli effetti.

Una notizia che poi una notizia vera e propria non lo è. Sul fatto che Ioane fosse azzurrabile non vi erano grandi dubbi, tanto che le illazioni su di un futuro nel XV di Smith al termine del ciclo di tre anni di permanenza in Italia, erano subito diventate concrete.

Il meccanismo alle spalle delle convocazioni dedicate ai non nati in Italia è arci noto. Se sei uno straniero di buon livello e non hai mai conquistato un cap internazionale, allora prenditi il tempo per giocare tre anni in Italia e il Belpaese diventerà il posto che fa per te. Una sorta di Italian Dream in salsa tricolore che trasforma la penisola ovale in una terra di opportunità. Proprio come l’America ai tempi della corsa ad ovest. Però il nostro meltin pot rugbistico non è che ci  abbia sempre regalato soddisfazioni. Anzi.

La lista dei bidoni, oriundi o equiparati, che hanno vestito l’azzurro è roba da intenditori. Una ricerca storica che non abbiamo fatto, ma che abbiamo in mente e che siamo certi offrirebbe uno spunto utilissimo per capire quante risorse sono state buttate in giocatori dalle dubbie qualità. Prossimo articolo promettiamo di farci un pensierino.

Un caso esemplare che però ancora oggi merita un po’ di attenzione è quello di Giovanni Mario Antoni, detto John. Estremo “acciugato” (185 cm per 83 kg) di origini kenyane e sudafricane che nell’estate 2001 conquistò ben due caps contro Namibia e Sudafrica. Non ci sarebbe niente di strano se non fosse che Antoni in quel 2001 militava nell’Amatori Alghero in serie B, cioè nella terza serie italiana, e fu notato in maniera più che casuale da Brad Johnstone durante il match/esibizione di addio al rugby dei fratelli Cuttitta.

Abbiamo visto anche cose così. Selezioni a dir poco balneari. Sudafricani, argentini, neozelandesi, australiani presi a caso e calati improvvisamente nella parte dei salvatori della patria, peraltro senza che su di loro ci fosse uno straccio di prospettiva e o programmazione.

Su Ioane invece si accende un barlume di speranza. Il trequarti del Benetton infatti non è un parvenu. Egli fa parte di un gruppetto di atleti stranieri (insieme ad Hayward, Faiva & co.) che la dirigenza biancoverde ha portato sulle rive della Marca con il chiaro obiettivo di costruirci sopra un progetto. Individuale e collettivo. Un po’ quel modus operandi che riecheggia nel sistema dei Project Player, tanto caro alle nazionali europee alle prese con bacini di utenza ristretti.

Un equiparato in nazionale dunque non è sempre da considerarsi come una sconfitta formativa. Almeno non lo è per chi punta a sviluppare una filiera giovanile fatta in casa. Il mondo del professionismo sportivo è ormai un oceano globale senza confini nè barriere. Le regole che consentono l’equiparazione possono essere condivisibili o meno, ma esistono e in tanti, tantissimi ne approfittano. Processo etico? Si. A patto che l’equiparato sia forte davvero. A patto che l’equiparato offra garanzie sul lungo periodo. Ragionamento ovvio? No. Da noi niente affatto.

Cerchiamo di non dimenticare il momento storico in cui la nostra squadra nazionale giocava con Kelly Haimona a mediano di apertura. Giocatore salito alla ribalta grazie al lavoro di scouting del rugby italiano, ma frenato da evidenti limiti tecnici. E mentre l’ex Bay of Plenty ci illudeva di aver coperto lo spot a numero 10 almeno per un po’ di tempo, noi non pensavamo che svanita la sua chance di partecipare alla RWC 2015, Haimona avrebbe salutato capre e cavoli senza farsi prendere dalla saudade della pianura padana. E invece dopo un triennio di false speranze, di lui più nessuna traccia, con buona pace dell’investimento economico e umano.

Se Ioane sarà in grado di rompere le linee di difesa, di marcare mete, di alzare considerevolmente la quantità di off load, allora il feeling scatterà presto e potremo dire: welcome on board paisà Monty. Non è su di lui che deve interrogarsi il sistema Italia, perchè proprio Ioane ha già dimostrato di valere il livello internazionale. E non ci vuole un veggente per capire che il suo profilo può essere davvero funzionale alla causa.

Il suo score nei tre anni a Treviso è piuttosto eloquente: 52 presenze, 21 mete. In mezzo alle marcature, spesso spettacolari per atletismo e fiuto, il ragazzo di origine samoana ci mette anche tanta esuberanza fisica e una consistenza difensiva non banale. Qualcuno obietterà che il duro mondo dei Test Match è un’altra cosa. Vero. Verissimo. Testiamolo e capiamo se ne vale la pena.

 

 

Una stagione quest’ultima in cui non ha potuto impinguare il bottino di segnature, ma che è servita formalmente per rinnovare l’impegno contrattuale con i leoni.

Ioane a conti fatti non è di certo un eroe. Se ce lo meritiamo non possiamo saperlo, ma di sicuro possiamo averne bisogno. Eccome se possiamo.