La passione dei francesi per il petit caporal

Quanti emuli di Napoleone dietro il pack dei Bleus

Il 5 maggio di duecento anni fa, siccome immobile, spirava sull’isola di Sant’Elena uno dei più grandi mediani di mischia che la Storia abbia conosciuto, quel Napoleone Bonaparte che dal Novecento in poi la Repubblica di Francia tenta di replicare con infinite imitazioni su un prato rettangolare, ai cui margini si ergono due porte a forma di acca,  e sul quale fanti e cavalleria si azzuffano ribaldi, in una sorta di collettiva rievocazione delle varie Austerlitz, Marengo, Jena.

Si dice che Napolone fosse soprannominato dai suoi soldati, in gioventù, le petit caporal. Tuttavia il soprannome non sarebbe tanto riferito alla supposta scarsa statura del futuro imperatore, quanto un affettivo nomignolo datogli dai suoi sottoposti per la sua convivialità con i commilitoni.

Nell’immaginario collettivo, però, è rimasta scolpita l’immagine del piccolo uomo capace di comandare le schiere in barba ai supposti complessi per la mancanza di centimetri, dimostrata ancor più dai requisiti minimi che il Bonaparte aveva imposto ai suoi corpi d’èlite.

Una storia che si è spesso riprodotta sui campi da rugby di tutto il mondo, e in particolare su quelli francesi, dove il paragone fra il condottiero ottocentesco e il metronomo di turno con la maglia numero 9, capace di comandare a bacchetta le proprie truppe nonostante il divario fisico, si è riprodotto con costanza nel tempo.

Alfred Mayssonnié, per dirne uno, giocatore di inizio Novecento per lo Stade Toulousain che già ricopriva, come poi sarebbe stata tradizione tutta francese, sia il ruolo di mediano di mischia che quello di apertura.

Giocatore fondamentale per i successi dello Stade degli Anni Dieci, probabilmente il primo internazionale francese proveniente dal club di Tolosa e l’unico presente nella Francia che nel 1910 disputò il suo primo Cinque Nazioni, non raggiungeva il metro e settanta di altezza.

Fu il primo rugbista caduto in combattimento durante la Prima Guerra Mondiale, durante la battaglia della Marna nel 1914: il suo corpo venne sepolto sotto il fuoco nemico dal compagno di squadra Pierre Mounicq, un gesto fondamentale perché potesse venire ritrovato, esumato e sepolto a Tolosa.

Nella ville rose, all’incrocio fra boulevard Lascrosses e l’avenue Sejourné, al fianco di uno degli Herakles dello scultore Antoine Bourdelle, monumento agli sportivi caduti nella Grande Guerra, una stele realizzata dallo stesso artista lo ricorda e ogni 11 novembre i club sportivi della città lasciano una corona d’alloro in memoria del regista della vierge rouge, com’è soprannominata la squadra di Tolosa campione di Francia nel 1912, dopo una stagione da imbattuta.

A meritarsi quello stesso soprannome dato a Napoleone, petit caporal, fu Jacques Fouroux: un metro e sessantré di fiducia in sé stesso, assertivo e deciso, pronto a diventare il nono avanti della squadre se le cose si facevano toste.



French Flair spiegato da loro

Capitano della Francia del Grand Chelem del Cinque Nazioni ’77, guida la squadra nel resto dell’anno a 7 vittorie, fra cui una contro gli All Blacks, un pareggio e una sconfitta. L’ultima partita della stagione, la Francia la gioca contro la Romania: è una partita scialba, senza acuti, che i transalpini vincono senza emozionare in un Marcel Michelin di Clermont-Ferrand mezzo vuoto.

Quattro ore dopo la fine della partita, al ricevimento organizzato per il terzo tempo, l’allora trentenne capitano e mediano di mischia della Francia si alzò in piedi: “Grazie a tutti. Quanto ai giornalisti che hanno spesso scritto il mio nome con penne intrise di vetriolo, se ve ne resta ancora un po’ in fondo ai vostri flaconi, bevetene un sorso alla mia salute”. E così si ritirò, in maniera brusca e improvvisa, motivato dai contrasti con uno dei selezionatori, dal rugby internazionale.

Il diretto erede di Jacques Fouroux è Pierre Berbizier, che da questa parte delle Alpi si è fatto conoscere e stimare da tanti tifosi, ma che nel frattempo di suoi aveva già combinato molto: campione di Francia 1988 con Agen, 56 presenze in nazionale fra l’81 e il ’91 di cui 13 da capitano, sei Cinque Nazioni con un paio di Grand Slam e una finale, persa, di Coppa del Mondo.

Prima di diventare capo allenatore della nazionale italiana, Berbizier lo fu della Francia, diventandone immediatamente il tecnico dopo il termine della sua carriera da giocatore nel 1991.



Questa celebre meta della Francia: allenatore Pierre Berbizier

È in questo ruolo che si distingue per un gesto di napoleonesca grandeur: si dice che prima della semifinale del mondiale sudafricano del 1995, quella del nubifragio subito prima del match contro i padroni di casa, abbia offerto a tutti i giocatori una coppa di champagne. Un gesto tronfio, finito con una sconfitta.

In tempi più recenti, professionistici, altri hanno ripercorso le orme dei loro antenati: Morgan Parra si è più volte sentito chiamare petit general per il suo caratteristico modo di giocare con grande fiducia in sé stesso, al limite dell’arroganza, ma capace di infondere quello stesso sentimento nei compagni. Forse a volte un po’ eccessivo: non un caso che il soprannome con cui è più conosciuto da compagni di club e nazionale sia Le merdeux, e la traduzione la lasciamo a chi legge.

L’ultimo in lista cronologica è ovviamente Antoine Dupont, 1,75, della cui statura si è spesso parlato. Rispetto ai precedenti, questo petit caporal è una sorta di pallottola esplosiva dalle capacità fisiche e atletiche abominevoli.

Sarà vera gloria? Ai posteri, l’ardua sentenza.