Qualcuno vuole bene alle Zebre?

Ci risiamo. Le Zebre, la seconda franchigia italiana partecipante allo United Rugby Championship, sono di nuovo in burrasca. Acque agitate che travolgono un po’ tutto, dall’area tecnica a quella manageriale, passando per un rapporto sempre più asettico con l’ambiente esterno.

Dalle parti di Parma non c’è pace. O meglio, trapela quella calma apparente che le voci ben informate raccontano essere la copertura di una situazione ben più incandescente.

Basterebbero gli ultimi 7 giorni di storia per capire che qualcosa non va. Venerdì la squadra è andata a Glasgow dove in 40 minuti aveva già preso 4 mete. Match da dimenticare, l’ennesimo a dire la verità, e un ultimo posto in classifica che sembra ormai irrecuperabile. Lunedì il Presidente Dalai diventa Amministratore Unico e Carlo Checchinato saluta il CDA. Martedì 5 aprile Fabio Roselli assume il ruolo di Head Coach al post di Emiliano Bergamaschi che tornerà la prossima stagione perchè attualmente deve risolvere dei problemi personali. Bergamaschi che a sua volta aveva preso il posto di Michael Bradley a gennaio 2022 tra l’incredulità generale.

La buona notizia è proprio che Roselli, tecnico competente e rispettato, diventa capo allenatore di una squadra di URC. E tutti sanno quanto sia difficile per un coach italiano affermarsi nel nostro massimo livello ovale. Le buone nuove però finiscono qui. Anche perchè si sperava che la parabola professionale di Roselli trovasse compimento in circostanze diverse da quelle emergenziali.

Arrivati ad aprile 2022, esattamente un anno dopo l’insediamento di Marzio Innocenti a capo della FIR, le notizie che provengono dalle Zebre sono costantemente rinchiuse in una cappa di dubbio, negatività, precarietà. Dunque, dopo che anche il Benetton si appresta a finire la stagione con un rapporto tra vittorie e sconfitte abbastanza deludente, diventa necessario interrogarsi sullo stato dell’arte delle nostre franchigie in senso generale, con particolare interesse su quella gestita appunto dalla Federazione.

Scavallato il mese di gennaio è pratica comune del Rugby Pro quella di ufficializzare i nuovi acquisti per la stagione ventura o delineare le linee programmatiche che un club seguirà nel futuro prossimo. A Treviso l’intelaiatura della squadra 2022/23 prende forma. A Parma niente di tutto ciò. Alla Cittadella del Rugby si contano solo addii: Lovotti, Fabiani, Bisegni, Zilocchi solo per citare gli ultimi di quella che con ogni probabilità si prospetta come una lunga serie. Niente più notizie di atleti di primo piano come Biellini, Mbandà, figuriamoci rumors su probabili arrivi o rinnovi.

Il clima non promette nulla di buono ed è un gran peccato. Se è vero che le Zebre sono nate in fretta e hanno vissuto stagioni a tratti deprimenti, è altrettanto vero che con l’assetto composto da Bradley in panchina e  Dalledonne in plancia di comando avevano trovato una stabilità tecnico-dirigenziale piuttosto rassicurante. E non poteva essere altrimenti dopo che i primi 5 anni di franchigia erano stati segnati dal cambio di quattro presidenti e quattro allenatori, con il punto più basso toccato nell’estate 2017, quando l’incertezza sul futuro aveva fatto scappare a gambe levate un sacco di giocatori e quei project player come Gideon Koegelenberg e Dries Van Schalkwyk, coinvolti nel progetto Zebre per esser poi disponibili in azzurro.

Appare chiaro che la gestione Dalai sia improntata alla discontinuità, con un progetto radicalmente diverso, sulla carta più ambizioso. Ma siamo sicuri che tutti questi strappi interni contribuiscano a migliorare il quadro generale? Le comunicazioni ufficiali parlano di accordi presi in area Parma fino al 2023 e di un piano di sponsor e partnership migliorato, se non addirittura raddoppiato. Ad occhio è visibile una grande attenzione ai temi sociali, da Patrik Zaki alla Guerra in Ucraina. Tutte azioni nobili e rimarchevoli, ma di risultati sul campo che dovrebbero essere il core business di un team professionistico, nemmeno l’ombra.

Intorno alla galassia Zebre c’è sempre molto interesse. Una squadra finanziata direttamente dalla federazione è un patrimonio, di quelli per cui tutti dovremmo fare il tifo. Solo che interpretare le strategie della società e del suo maggior finanziatore (la FIR) è sempre più difficile. Ciò che possiamo constatare sono i fatti concreti messi in relazione a quelli raccontati.

A settembre 2021 il Presidente Innocenti ha rassicurato l’ambiente sull’interesse dei vertici federali, favorevoli ad uno sviluppo armonico dei rapporti tra città e squadra e ad una crescita tecnica definitiva. Il tutto condiviso dalla stanza dei bottoni zebrata.

Poi però arrivano le voci insistenti di un dirottamento verso Padova e le parole rilasciate nella famosa intervista a Midi Olympique che mettono  in dubbio tutto. Finché si parla di chiacchiere o di pensieri in libertà siamo ancora nel campo delle ipotesi, mentre quando si volge lo sguardo ai numeri ci si rende conto di una situazione drammatica. Al momento In URC l’ultima posizione è corredata da 480 punti subiti in 13 gare. Una media di 36 punti incassati a partita. E poi c’è il dato più preoccupante per tutto il movimento, quello dei giocatori convocati in nazionale. Prima del primo match del Sei Nazioni tra Francia e Italia gli zebrati presenti tra i 23 azzurri scelti da Crowley erano solo 2: Fischetti e Zilocchi. E poi ci sono le porte scorrevoli che si spalancano per atleti stranieri dal dubbio valore che arrivano a Parma da molti anni senza una logica apparente.

Se una delle due franchigie smette di produrre giocatori per il vertice o smette di farli performare al livello richiesto dal rugby internazionale, beh..Houston… abbiamo un problema.

Andando avanti così il rischio è quello di trovarsi a ipotizzare o ancor peggio a sperare in una sola franchigia e una piccola, ma sostanziosa, diaspora dei migliori giocatori italiani nei club esteri. Come a dire: concentro tutto in una sola realtà che ha il physique du role per competere ai massimi livelli e il resto del materiale umano lo lascio affinare a chi è più bravo di me nel garantire soldi e prospettive. Non è poi così diverso da come opera il Sudafrica che le franchigie le ha razionalizzate mentre ha lasciato che i suoi pezzi pregiati andassero a fare cassa in Europa.

Mettiamo che le Zebre si trasferiscono a Padova, per inciso un club che ha dalla sua: storia, know how, strutture e merita tutto il rispetto del mondo, non è scritto da nessuna parte che la solidità societaria dei patavini corrisponda a risultati sul breve termine nel palcoscenico internazionale dello URC.

Mettetevi invece nei panni di un atleta professionista nel pieno della carriera, magari con famiglia a carico e pochi anni a disposizione per massimizzare i guadagni. Oppure di un giovane promettente appena uscito dalla nazionale under 20 più vincente di sempre, oppure in quelli di un giocatore straniero abituato a vivere contesti iper strutturati e ben retribuiti. Perchè dovrebbe scegliere adesso, aprile 2022, le Zebre?

Nel mondo perfetto le due franchigie rappresentano un mix invidiabile fatto di qualità tecnica, organizzazione e identità. Il tutto sostenuto da un management che tutela gli atleti sul piano economico, psicologico, medico e sociale e da una community calorosa.

Insomma, un punto di arrivo o un luogo dove si lavora per fare sistema, per fare in modo che determinati processi diventino consuetudini. Perchè anche se le Zebre non possono rivendicare obiettivi da capolista, almeno possono diventare un aggregatore di eccellenze.

Siamo certi che tra gli atleti in rosa e tra i membri dello staff queste eccellenze siano realmente presenti. È altrettanto vero che nessun individuo calato in un contesto lavorativo è in grado di produrre al meglio se ogni due mesi è costretto a subire scossoni o ancor peggio a dover operare in assenza di prospettive certe.

Ah, e poi il piccolo appunto finale. Non è poi così vero che Parma è tiepida sul tema rugby. La palla ovale rimbalza parecchio tra la città e l’hinterland: Colorno, Noceto e Rugby Parma 1931, solo per fare tre esempi di realtà forti e vissute che ogni domenica smuovono giocatori, tecnici e tifosi.

Tutto ciò a conferma, ancora una volta, che non si può pensare di costruire una realtà nettamente professionistica senza un vero e proprio radicamento territoriale proveniente dal basso.

C’è tanto, tantissimo da fare per rialzare le Zebre, sempre più gigante del rugby italiano con i piedi di argilla.