Il prezzo della vittoria

Da questa Italia è giusto esigere di più, per dimostrare che la vittoria di marzo non era un fuoco di paglia

Una meta tecnica a circa 60 secondi dalla conclusione dell’incontro ha permesso all’Italrugby di tirare il più classico dei sospiri di sollievo al termine di un pomeriggio da incubo all’Estadio do Restelo di Lisbona, contro un Portogallo che non vinceva contro gli Azzurri dal 1973 e che non ha mai vinto un solo incontro di fronte ad un avversario del cosiddetto Tier 1.

Alcuni hanno paragonato il brivido vissuto sabato pomeriggio a quello del novembre scorso, quando a Parma l’Italia si trovò a dover resistere agli attacchi di un ostinato Uruguay dopo aver a lungo balbettato con la palla in mano, segnando solamente due mete alla squadra diciassettesima nel ranking mondiale.

Le prestazioni sono in effetti state simili nell’incapacità della squadra italiana di esprimere un gioco offensivo al livello delle aspettative. Sono state diverse perché nel caso del novembre 2021 si assisteva al terzo incontro di una squadra riformata, con uno staff tecnico completamente nuovo e con alle spalle un filotto di sconfitte impressionante (nessuna vittoria dopo la Rugby World Cup 2019), mentre oggi stiamo guardando la prima nazionale azzurra capace di vincere una partita al Sei Nazioni dal 2015 in poi.

Sebbene evidentemente un singolo risultato non possa cambiare drasticamente il valore di una squadra, è altrettanto vero che da questa Italia dobbiamo aspettarci qualcosa di più. È questo il prezzo che porta con sé una vittoria tanto importante come quella contro il Galles al Sei Nazioni: ci sono delle aspettative da soddisfare, c’è da dimostrare come non si sia trattato soltanto di un fuoco di paglia. Non è più legittimo mettere sul tavolo l’alibi di una squadra non abituata a vincere, e quindi impreparata a giocare per farlo: a Lisbona è stato evidente una drammatica inconsistenza mentale, una mancanza di attitudine inaccettabile per un gruppo di professionisti che scende in campo per giocare un test internazionale.

Pensate a Danilo Fischetti a Cardiff e poi fatevi tornare in mente le immagini dello stesso giocatore a Lisbona, continuamente con le braccia in aria a lamentarsi, ben lontano dal consueto workrate, lo sguardo vagamente vacuo. È la sintesi del sabato pomeriggio dell’Italia. E tornano un po’ alla mente le parole con cui Kieran Crowley bacchetta i suoi sul campo, in una delle prime scende del mini-doc Facing Goliath.

Non è però solo la questione attitudinale a preoccupare. Quella si spera si sia risolta pattinando sul ghiaccio sottile di una sconfitta contro il Portogallo, e che la caratura maggiore dei prossimi avversari faccia propendere verso un approccio più agguerrito gli Azzurri. Il fatto è che anche quello che l’Italia ha provato a fare con il pallone in mano a livello di piano di gioco offensivo è stato brutto e confuso.

Il sistema di gioco di Crowley è semplice, la differenza la fa la qualità della prestazione che gli interpreti danno. Troppe volte l’Italia ha cercato l’immediato allargamento del gioco senza costruire con pazienza, senza fiducia nella capacità di lavoro dei propri avanti: dopo una singola fase affidata alla penetrazione, gli Azzurri cercano subito l’allargamento, spesso affidando ai propri centri palloni semplicemente impossibili da gestire, isolati dai sostegni e sotto la pressione della difesa che sale.

Fra coloro che sono scesi in campo contro il Portogallo, nessuno dei primi quindici ha alzato la mano per guadagnarsi l’opportunità di mantenere la maglia da titolare sulle proprie spalle, mentre in tanti hanno fallito una preziosa occasione di stabilizzare la propria presenza nel giro azzurro: Renato Giammarioli è stato decisamente incolore; Alessandro Fusco ha confermato che oltre a delle buone doti fisiche, è un giocatore tremendamente acerbo sotto tutti gli aspetti; Andrea Zambonin non può essere bocciato al secondo cap, ma per il momento è rimandato.

In una giornata in cui anche i luogotenenti di Crowley vacillano (pessima prestazione di Michele Lamaro, ad esempio), l’unica figura ad emergere positivamente è quella di Federico Ruzza, un giocatore che sembra vivere nella definitiva certezza dei propri mezzi e delle proprie capacità, finalmente. Forse non sarà, a livello assoluto, una delle migliori seconde linee a livello mondiale, ma la sua crescita nel ruolo di veterano ed ancora del pack è la miglior notizia del primo anno di Crowley CT.

Ora sotto con la Romania, per risollevare una nazionale maggiore che è stata la peggiore delle tre selezioni azzurre impegnate nel weekend. L’head coach neozelandese ha più volte sottolineato che durante il tour metterà tutti alla prova, e già con la Romania potrebbe mettere in campo un XV completamente diverso per poi tirare le somme per la gara contro la Georgia.

Ci aspettiamo allora di rivedere all’opera Pietro Ceccarelli, dopo che Simone Ferrari ha sofferto in maniera preoccupante la prima linea portoghese, Gianmarco Lucchesi e Federico Ruzza dal primo minuto, Manfredi Albanese titolare in mediana con Alessandro Garbisi di backup e Tommy Allan a guidare la squadra in regia. E quest’ultima sarebbe la cosa più interessante di venerdì prossimo.