Perchè il caso Parisse non dovrebbe essere un caso

Le prime convocazioni di Kieran Crowley in previsione della RWC hanno fatto discutere. Tra eleggibili mal percepiti e cavalli di ritorno inattesi, a fare più scalpore è l’assenza di Sergio Parisse.

L’ex capitano dell’Italia, non più azzurro dal 2019, con 142 caps e 83 punti all’attivo, è al centro di un caso mediatico di cui il sonnacchioso mondo del rugby italiano probabilmente non aveva bisogno. 

Perchè tanto clamore

Parisse, 40 anni a settembre, è alla sua ultima stagione di rugby professionistico e la sta vivendo alla grande. A Tolone gioca tanto e bene, in campo si muove con una freschezza atletica invidiabile e in più si accinge a essere protagonista in due trofei più che rilevanti: le fasi finali del campionato francese e la finalissima di Challenge Cup.

Logico aspettarsi un interessamento da parte dello staff azzurro nei confronti del miglior numero 8 italiano della storia. Peccato che questo interesse non si sia mai palesato e qualcuno ci è rimasto male. 

In primis i tifosi, che ancora hanno negli occhi il calcetto con cui ha mandato in meta Duncan Paia’Aua durante la semifinale di Challenge con il Benetton, ma anche gli addetti ai lavori che dati alla mano riconoscono in Sergio Parisse un atleta ancora perfettamente calato nel livello internazionale.

L’intervista di Sergio

Imbeccato da All Rugby, ha chiaramente fatto intendere di essere disponibile a far parte del gruppo azzurro. Parisse ci avrebbe sperato perchè oltre ad essere parecchio sul pezzo, potrebbe ottenere la possibilità di giocare il suo sesto mondiale: un record pazzesco, unico.

Nelle parole comunicate alla stampa ha spiegato nemmeno troppo velatamente che forse a livello federale non c’è terreno fertile per un suo coinvolgimento. In poche parole, lo staff della nazionale ritiene chiusa la sua avventura senza appello, probabilmente per non intaccare i nuovi equilibri costruiti da Kieran Crowley.

Competere prima di tutto 

Quella descritta sopra è una ricostruzione sommaria degli eventi. Adesso possiamo dare spazio alla libera interpretazione, alle opinioni e alle prese di posizione. 

Prima di elucubrare teorie complicate, sgombro il campo dalle ipotesi: in nazionale ci devono andare i giocatori più forti che può esprimere una federazione in quel dato momento. Ad oggi Parisse probabilmente è fra le migliori terze linee Italiane in circolazione, dunque nella logica del ragionamento merita di stare almeno in un gruppo allargato.

Ciò che diventa importante capire è il modo in cui un giocatore così influente ci può stare, in quel gruppo. Se la modalità di inserimento è quella che si adotta in ogni squadra sportiva che punta all’eccellenza, cioè quella che vuole una competizione sfrenata per conquistarsi la maglia, allora va convocato e trattato esattamente al pari degli altri.

Se invece devono entrare in ballo discorsi diversi, come quelli che invocano Parisse in campo per una passerella finale, allora è meglio lasciar perdere ogni pensiero strutturato. Non è rispettoso per lui che è una leggenda di questo sport e non lo è nemmeno per l’Italia capitanata da Michele Lamaro che deve assolutamente uscire da logiche carbonare e morbose. 

Sul piano tecnico è indubbio che Parisse ha tutte le cose dannatamente al suo posto. Va anche notato che la sua resa in campo è aiutata da un’intelaiatura come quella di Tolone in cui le sue skills sopraffine si sposano perfettamente con il piano di gioco imbastito da Azema e Mignoni, senza che sia lui a dover tirare la carretta ad ogni costo. 

In nazionale potrebbe non essere esattamente lo stesso, perchè cambierebbero gli interpreti, cambierebbe il livello degli avversari e cambierebbe il clima dello spogliatoio che forse non è più lo stesso del 2019. In sostanza, non è affatto automatico che lo staff dell’Italia voglia impostare la sua identità offensiva e la sua solidità difensiva con Parisse al centro del villaggio.

Crowley è il capo, meglio ricordarlo

Nel dibattito che ha infiammato i tifosi dell’Italrugby sui social, manca sempre un protagonista, Kieran Crowley. È lui in qualità di responsabile tecnico il vero ago della bilancia. Il coach neozelandese ha fatto le sue scelte e c’è da credere che siano adeguate.

Nessuno meglio di lui conosce le alchimie e gli umori dell’Italia, nessuno meglio di lui sa cosa è meglio per il processo di selezione. Questo non vuol dire che Crowley abbia ragione in senso assoluto, ma di certo ha un progetto tecnico che fino ad oggi ha seguito con coerenza e se il rugby è ancora uno sport di squadra, il bene collettivo è molto più importante di quello individuale.

Non sarebbe né la prima né l’ultima volta che un giocatore meritevole non rientra nei piani di un allenatore, nonostante le prestazioni evidenziate nella squadra di club dicano tutt’altro. Cambia parecchio se l’ostracismo è figlio di manie di protagonismo da parte del coach, ma nel caso di Crowley è difficile pensare ad una ripicca per non meglio conosciute frizioni personali.

Un caso che non deve diventare un caso

In mancanza di temi tecnici da discutere, spesso l’attenzione dei media si sposta sui gossip che possono portare views o vendere copie. Su questo argomento, la polemica può fermarsi al listone di 46 atleti ufficializzato dalla FIR.

Parisse semplicemente non c’è, perchè Crowley ha scelto di preparare la campagna mondiale senza di lui e se ne assumerà le responsabilità qualora in terza linea il rendimento dei prescelti sarà inferiore alle attese.

Questo non cambia di una virgola il giudizio sul numero 8 nativo di La Plata. Parisse è e rimarrà un gigante del rugby contemporaneo e siamo certi che lo dimostrerà negli ultimi impegni, peraltro molto prestigiosi, della sua favolosa carriera.