Andrea Duodo è il ventiduesimo Presidente della Federazione Italiana Rugby. Ha vinto le elezioni del 15 settembre con il 55,9% di preferenze, il Presidente uscente Marzio Innocenti si è fermato a quota 41,6% mentre Massimo Giovanelli ha chiuso l’assemblea elettiva all’1,7%.
Una vittoria netta ed inequivocabile quella del candidato di PAC/Rugby 2030, ma anche una sconfitta piuttosto dura per Innocenti, che in controtendenza rispetto ai suoi recenti predecessori non è riuscito ad allungare il suo mandato oltre i 3 anni.
L’inerzia si è spostata rapidamente verso Andrea Duodo nella fase conclusiva della campagna elettorale. Gli endorsement di Sergio Parisse e dei principali club italiani, tra cui il Benetton e la maggior parte delle società di serie A Elite, facevano presagire già prima di domenica scorsa che il cambio della guardia potesse essere ben più di una semplice eventualità.
Le schermaglie che hanno preceduto l’assemblea elettiva alla fine si sono rivelate ininfluenti, come ininfluente è stato il tasso di popolarità di Innocenti in quella galassia generalista che segue il rugby solo attraverso i risultati delle nazionali.
Le elezioni federali non sono una referendum popolare sul gradimento nei confronti del Presidente, bensì una consultazione chiusa, fatta di regole precise, dedicata esclusivamente ai club. E i club, sulla base di un programma che hanno ritenuto migliore, si sono espressi chiaramente nella direzione di Duodo.
In perfetto stile italiano è probabile che nelle prossime settimane assisteremo ad una salita in massa sul carro del vincitore, o peggio a quelle lodi sperticate dei voltagabbana che accompagnano ogni cambio di leadership, che sia esso di natura sportiva, politica o semplicemente condominiale.
Il compito più difficile: rialzare la china di un movimento fragile
Il nostro movimento è in crisi, questo è bene ricordarlo. Lo è da prima che arrivasse Innocenti. Non è solo la lunga parentesi del Covid ad averci fatto male. È un complesso intricato di problemi sociali, amministrativi e di un generale pressapochismo che attanaglia il rugby nostrano dall’entrata nel Sei Nazioni.
Dunque, Andrea Duodo può segnare la svolta? Questo lo sapremo più avanti, per adesso possiamo dire che non difetta di garbo e bella presenza, oltre che di un sano pragmatismo. Se i primi due sono elementi accessori, il terzo è un requisito necessario per stare al timone di una barca che naviga in acque agitate.
Bisogna attendere e non essere pregiudizievoli, anzi speranzosi che la sua battaglia sul primato delle competenze sul regime delle appartenenze trovi compimento. Intanto sarebbe già un bel salto in avanti se il nuovo Presidente riuscisse a gestire la fase di passaggio delle consegne in maniera meno dirompente rispetto a quanto fatto da Innocenti dal 13 marzo di tre anni fa. È vero che il rugby italiano post Gavazzi necessitava di uno shock, ma quanto è costato all’ex Presidente questo atteggiamento radicale?
Chi scrive non è un critico a priori della gestione Innocenti. Dal mio punto di vista è stato un uomo capace di trasferire la sua energia al movimento, di compiere scelte impopolari, che sono spesso il miglior viatico per sparigliare le carte nei momenti più duri. Gli riconosco anche un livello di ‘interventismo’ che non è sempre facile trovare in chi galleggia comodamente nei salotti del potere.
Tutto questo però incide inesorabilmente in termini di relazioni. E poi ci sono le promesse. Lo ha dichiarato Innocenti stesso durante l’assemblea di Bologna che esiste una differenza abissale tra gli obiettivi prefissati in campagna elettorale e l’ effettiva capacità di realizzarli. Sulla base di cosa proponeva nel 2021 sembrava impossibile pensare che lo smantellamento di un modello formativo come quello delle Accademie potesse portare dei benefici, così come era (ed è ancora oggi) impensabile pensare che la scialba riforma dei Poli di Sviluppo fosse in grado di fornire quel know how rugbistico necessario per coltivare i talenti del futuro e stare al livello dei competitor.
Molte cose non sono andate per il verso giusto (progetto Seven? Rugby al Sud? La gestione delle Zebre?), altre invece hanno ripreso quota (il rinnovato staff della nazionale maggiore, il pieno di spettatori allo Stadio Olimpico), altre ancora sono da fare subito, a prescindere da chi siede adesso sulla sedia del capo. Ad esempio, vanno salvati dal declino tecnico e organizzativo i campionati juniores e seniores, va coltivata una classe arbitrale di qualità, va facilitato il processo di comprensione e accesso al rugby per tutti, ben oltre i concetti vaghi di ‘migliorare il marketing e la comunicazione’. E la lista dei fioretti si ferma qui per motivi di leggibilità.
Sotterrare l’ascia di guerra per il bene del rugby italiano
La politica in Italia è terra di polarizzazione estrema, di accuse velenose, di complotti, di narcisismo, di gossip e di colpi bassi. Ad ogni livello la si pratichi, dal Parlamento fino alle stanze più piccole delle federazioni sportive, raramente si assiste a una convergenza di posizioni sui temi di pubblico interesse.
L’ex ministro socialista Rino Formica negli anni 80, quando ancora il linguaggio non era ancora ingentilito come oggi, riassunse il concetto con un aforisma colorato ma sempre attuale: “La politica è sangue e merda”.
Il rugby invece, lo penso ancora, è uno sport da gentiluomini dove ci si abitua al sangue e si cerca di scansare la merda. Conclusa la tenzone elettorale restano i cocci di una dialettica troppo spesso inquinata da livori personali. Mai come adesso abbiamo bisogno di tutte le risorse umane, comprese quelle dello sconfitto Innocenti, per uscire da una cappa di autoreferenzialità che ci colloca inesorabilmente tra gli sport minori di questa sgangherata nazione. Buon lavoro Presidente Duodo.