La prima batosta della gestione Quesada

I cinquanta punti presi ad Udine dall’Argentina rappresentano la seconda peggior sconfitta dell’Italia nel 2024. Il 36 a 0 di Dublino a febbraio è il gap più alto dell’anno, ma viste le premesse si può logicamente definire quella di sabato scorso (50 a 18) come la prima batosta della gestione Quesada.

Le due squadre erano vicine nel ranking, entrambe reduci da un’annata sorprendente, in più l’Italia metteva in campo la miglior formazione possibile mentre l’Argentina doveva fare i conti con alcune assenze di peso.

Niente da fare, i Pumas ci hanno preso le misure con grande facilità, sfruttando una quota enorme di errori da parte degli Azzurri e poi dilagando quando le motivazioni e le gambe avevano ormai abbandonato il terreno di gioco.

Cosa non è andato e cosa preoccupa

A fine primo tempo l’Italia era sotto 10 a 17, con l’incognita della meta annullata a Mirco Spagnolo che imponeva un ritorno in campo battagliero. Pronti-via e Tommaso Allan spedisce tra i pali il 13 a 17. Lì per lì in tanti avranno pensato: ok, siamo in partita e possiamo instillare qualche ragionevole dubbio a dei Pumas forti, ben messi in campo, ma non imbattibili. Invece poi non ne è andata più dritta una e gli uomini di Contepomi ci hanno seppellito con 5 mete in sequenza.

Azione emblematica di Italia-Argentina

Cosa ha provocato tutto questo? Un sacco di fattori, a partire dalle sbavature nel gioco aereo (Capuozzo ci sei mancato), dalla scarsa reattività nei breakdown e dalla fretta in attacco, tre elementi da rivedere con grande attenzione. Ogni volta che Albornoz ha alzato in cielo un up&under toccava farsi il segno della croce, ogni volta che Montoya metteva le mani in ruck scattava la paura, ma soprattutto ogni volta che avevamo la palla noi e rompevamo la linea di difesa o semplicemente eravamo avanzanti, non riuscivamo mai a dare continuità.

I Pumas ci hanno tenuto in scacco perchè hanno trovato un avversario agitato, desideroso di risolvere le situazioni un po’ troppo velocemente. Lo si è visto da una rimessa laterale nel primo tempo giocata con una furba in zona rossa, un’occasione d’oro buttata al vento quando invece bisognava avere il sangue freddo di ponderare meglio la scelta. I Pumas invece la rimessa nella stessa zoina di campo l’hanno usata bene e da lì hanno marcato la meta di Sclavi che ha scavato il solco definitivo. Altre note stonate arrivano dai calci nel box mai veramente insidiosi, un errore di scarsa cura del gesto tecnico.

Gli Azzurri hanno fatto fatica ad avere la meglio sulla solidità dell’avversario, hanno cercato soluzioni strutturate, quando il nocciolo della questione era sui principi del gioco: recuperare la palla dai restart, prendere bene la palla al volo, conservare il possesso allentando la pressione, rimanere pericolosi nei ventidue metri e lavorare ai fianchi l’Argentina per conquistare dei punti ogni volta che si presentava l’occasione.

In campo non si è percepita una leadership evidente nel momento in cui le difficoltà stavano diventando sempre maggiori. A livello di prestazioni individuali va citato un super Menoncello, ma poi chi altro è andato nettamente sopra la sufficienza?

Tutto facile da spiegare nella posizione di chi scrive comodo in poltrona, ma un passo in avanti su questi temi tecnici va fatto, soprattutto per evitare di vivere questo trittico di novembre come una finestra internazionale da incubo.

Cosa fa ben sperare per il futuro

L’Italia ha marcato due mete, poteva marcarne almeno altre due, e al netto della tariffa, ha dimostrato di non essere una squadra materasso profondamente dominata sul piano fisico.

Nel primo tempo si sono viste alcune salite difensive ben portate, con placcaggi che hanno infiammato il pubblico del Bluenergy stadium. In mischia ordinata non siamo affondati e in alcune situazioni siamo riusciti noi a mandare sotto pressione il pack argentino.

Da quando è arrivato Quesada i lanci del gioco dalle fase statiche sono diventati progressivamente un valore aggiunto. Contro l’Argentina è mancata la qualità dell’esecuzione, un plus imprescindibile per dare un senso ad un game plan particolareggiato.

Tutto questo per dire che uno zoccolo duro su cui lavorare c’è. Fa più riflettere la gestione dei momenti nevralgici che si incontrano in una partita, ma quello inizia ad essere un argomento che richiede una risposta diretta da parte di chi va in campo.

L’età media di questa Italia è sufficientemente giovane per sperare in una maturazione definitiva, anche se le sfide come quelle con i Pumas sarebbero le occasioni giuste per mostrare un passo in avanti.

Il pareggio con la Francia al Sei Nazioni è arrivato dopo la debacle patita per mano dell’Irlanda, un segnale che lo staff tecnico non accetta di buon grado le sconfitte e lavora per correggere subito il tiro.

La nazionale deve assolutamente evitare di finire in una spirale negativa. Perdere con i Pumas era una eventualità, battere la Georgia invece diventa una necessità. Se siamo davvero bravi a capire i nostri errori non possiamo non ricordare i calci altissimi di Batumi da cui i Lelos costruirono le basi della loro vittoria nel 2022. Impossibile pensare che Quesada non sia già al lavoro su questo.

Non ci resta che attendere la sfida di Genova e sperare in una vittoria netta ed inequivocabile, di quelle capaci di zittire i gufi che ci vorrebbero fuori dal Sei Nazioni in favore del team caucasico.