Il Il Sudafrica giganteggia, l’Italia fa la storia e scontenta tutti. Cosa ci lascia il Mondiale U20 2025

Un’azione della finale tra Sudafrica e Nuova Zelanda – Photo credit: Maurilio Boldrini / World Rugby.

Si è chiuso il 19 luglio a Rovigo il World Rugby U20 Championship 2025, con il Sudafrica che ha alzato al cielo il trofeo dopo una finale intensa e tutto sommato ben controllata contro la Nuova Zelanda. Ma la vittoria dei Junior Springboks è solo il punto più alto di un torneo che, nell’arco di tre settimane, ha raccontato molto sul futuro del rugby internazionale.

Dodici squadre, quattro città ospitanti, uno standard tecnico che continua ad alzarsi: l’edizione italiana del mondiale Under 20 ha confermato quanto questo torneo sia ormai un laboratorio d’élite, una vetrina che anticipa i nomi destinati al grande palcoscenico. Dalla mischia al triangolo allargato, passando per numeri 10 dal piede educato e terze linee multitasking, i profili emersi sono tanti e interessanti.

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Junior Springbkos: una vittoria da grandi

Il Sudafrica ha meritato il titolo, non solo per la finale vinta con autorevolezza ma per un cammino che ha saputo coniugare potenza, disciplina e lucidità. In un girone complicato con Inghilterra, Australia e Scozia, i sudafricani hanno mostrato una maturità da squadra senior: dominio nelle fasi statiche, efficacia nei punti d’incontro e una fisicità superba, perché usata con grande acume, senza perdere aderenza al piano di gioco. Il mediano d’apertura Vusi Moyo, con la sua regia effervescente e i piazzati chirurgici, è stato una delle chiavi.

Il successo finale è molto significativo perché arriva 13 anni dopo l’ultima volta, ma sopratutto perché si unisce al primo posto nel ranking dei Boks di Rassie Erasmus, la squadra che attualmente detta la linea del rugby internazionale e, guarda caso, è campione del mondo in carica. Dopo anni in cui la U20 della Rainbow Nation non era riuscita a primeggiare, ecco che adesso arriva un’affermazione pesante, di quelle che lasciano il segno. In questo gruppo si intravedono  molti giocatori futuribili, con alcuni profili da tenere rapidamente sott’occhio: Batho Hlekani, flanker dalle dimensioni fisiche importanti e dal work rate altissimo, Jaco Williams, trequarti ala elusivo e velocissimo, Haashim Pead, mediano di mischia elettrico che a tratti è stato incontenibile. Ne cito tre, la lista in realtà è molto più lunga.

La Nuova Zelanda, finalista, ha forse pagato qualche errore di troppo in finale, ma ha ritrovato un certo feeling con soluzioni offensive più variegate e una profondità di rosa che lascia ben sperare. Più incostante ma molto combattiva l’Argentina, che si è presa un meritato terzo posto battendo la Francia in una delle partite più indecifrabili del torneo (38-35), giocata a ritmi interessanti. Sotto la top 4 deludono Inghilterra e Irlanda, la Scozia fa il suo dovere e la Georgia continua a dimostrare una furia agonistica lodevole, incarnata dal mefistofelico numero 8 Mikheili Shioshvili, autore di 7 mete.

Una nota di merito va sicuramente alla Spagna, che ha onorato la partecipazione al mondiale obbligando i suoi avversari a sudare ogni singolo punto da mettere sul tabellone. Gli iberici hanno prodotto anche diversi nomi per i talent scout, uno su tutti: Oriol Marsinyak, trequarti centro in forza alle giovanili dello Stade Toulousain.

Italia promossa. Per i pieni voti ci sarà da aspettare

E gli Azzurrini? Chiusura al settimo posto, sì, ma con qualche mugugno del sempre più esigente pubblico italiano. La vittoria contro il Galles e la tenuta difensiva mostrata contro degli avversari noti per la loro intraprendenza nel gioco di movimento indicano un gruppo che si è saputo compattare nel momento giusto. Il pacchetto di mischia resta un fattore determinante, mentre è ancora difficile percepire un netto cambio di passo nella qualità della gestione offensiva.

In ogni caso, la squadra guidata da Roberto Santamaria può legittimamente festeggiare un piazzamento storico, mai raggiunto prima da una nazionale italiana Under 20 nelle precedenti edizioni del mondiale di categoria. Detto ciò, una cosa va chiarita: se è giusto mantenere equilibrio nel giudicare le prestazioni degli Azzurrini quando sbagliano, considerando che sono nel pieno di un percorso di crescita, è altrettanto doveroso non lasciarsi trasportare dall’entusiasmo per una buona classifica senza tenere conto dei momenti di flessione evidenziati contro Irlanda, Georgia e Australia.

La sensazione è che il gruppo dei nati 2006/7 fosse dotato di una buona dose di talento, ma la resa collettiva nel complesso non è stata così brillante. Sganciare le prestazioni dai risultati non è mai un esercizio coerente, soprattutto quando il focus è sulle categorie giovanili.

Il fatto che in Italia non esista un campionato juniores di alto livello è un’attenuante, così come va tenuta in considerazione la difficoltà nel mettere insieme un gruppo che si riunisce solo in occasione dei grandi appuntamenti (6 Nazioni e Mondiale). Questi però sono problemi che riguardano anche altre nazionali e non possono essere necessariamente alibi a cui aggrapparsi.

Disamine a parte, ripartiamo dall’ingresso nelle prime 8 del mondo, che è certamente il miglior viatico per il prossimo torneo iridato in Georgia.

Baby a chi?

Più in generale, il torneo ha detto che il rugby giovanile è sempre più vicino a quello degli adulti, almeno nella fascia alta: ritmi elevati, fisici imponenti, kicking game competente, vigore nei breakdown e una crescente attenzione alla gestione strategica.

Specialmente nel blocco delle prime quattro classificate il messaggio è stato chiaro: non si gioca “per imparare”, si gioca per vincere e chi sa farlo fin da questa età spesso è pronto anche per lo step successivo.

Ora lo sguardo si sposta al 2026, con il passaggio a 16 squadre e un’apertura ancora più ampia a nuove realtà (in arrivo USA, Fiji, Uruguay, Giappone). Ma intanto resta l’immagine di un torneo vivo, ricco di spunti, ben organizzato anche se non sempre frequentato. Lo stadio Battaglini ha saputo rispondere presente quando serviva e le braccia alzate dei giovani Springboks sul prato di Rovigo sono il simbolo di un Sudafrica che, anche a livello U20, sa essere feroce e vincente.