R360, la Superlega ‘ribelle’: rivoluzione globale o minaccia per il rugby tradizionale?

L’estate 2025 è segnata da una mossa audace: l’ex internazionale inglese Mike Tindall e un gruppo di manager, impreditori e agenti stanno lavorando sotto traccia per costruire R360 (chiamato anche Rebel League), un progetto di Superlega globale che vorrebbe trasformare il rugby union in una serie di eventi altamente spettacolari da portare in giro per il mondo, sul modello della Formula 1.

I punti chiave del progetto:

  • 12 franchigie (8 maschili e 4 femminili) che competono in un circuito itinerante internazionale: Londra, Tokyo, Dubai, Città del Capo, Boston e Miami sono state indicate come sedi delle franchigie, con le partite da giocare in luoghi diversi.
  • Stagione condensata in due finestre (aprile‑giugno e agosto‑settembre), per un totale di circa 16 partite a squadra
  • Retribuzioni da superstar: i 300 giocatori e giocatrici coinvolti potrebbero percepire salari da oltre 1 milioni di dollari all’anno, con molti atleti di alto profilo che hanno già espresso la disponibilità a partecipare.

I vantaggi secondo i promotori

Nelle intenzioni di Tindall e soci dovrebbero aumentare i ricavi e la visibilità grazie ad un prodotto fortemente orientato all’intrattenimento, vendibile su piattaforme digitali. Un tema non meno importante è quello dell’equità di genere.

La creazione di una lega non solo maschile potrebbe elevare il profilo del rugby femminile, ancora fermo ad uno status non del tutto professionistico.

E poi c’è la questione che riguarda il benessere dei giocatori: un calendario ridotto significa meno stress fisico, carriera più lunga e maggiore sviluppo del brand personale.

L’elemento più significativo rimane il denaro. Gli investimenti preannunciati sono di peso e l’interesse da parte di gruppi legati a Premier League, Formula 1, NFL (si parla di Fenway Sports Group, Glazer e Red Bull), porterebbe in dote anche un forte know-how in termini di marketing ed internazionalizzazione d’impresa.

Fondi privati e dell’Arabia Saudita sarebbero pronti a supportare finanziariamente l’operazione.

Le preoccupazioni degli organismi ufficiali

World Rugby, attraverso il CEO Alan Gilpin, ha richiamato l’attenzione sul valore del test rugby. Il dirigente ha fatto intendere che non c’è molto spazio di trattativa: qualsiasi lega deve garantire che i giocatori possano partecipare alle partite internazionali, in linea con la Regulation 9.

Premiership Rugby e TNT Sports hanno definito R360 come “deludente e insostenibile”. Il gruppo televisivo ha già rifiutato la copertura mediatica, mentre la Premiership difende il suo modello, con affluenza, audience e profitto in crescita.

Simon Massie‑Taylor, CEO della Premiership, ha dichiarato che R360 è una distrazione e criticato la mancanza di concretezza nel progetto, secondo lui fallace in termini logistici, giuridici e finanziari: “Non c’è stato alcun coinvolgimento [con R360]. Non è una minaccia di per sé. Allo stesso modo, non ho idea di come potrebbe mai funzionare, punto e basta.”

Impatti possibili sul sistema

Se R360 indebolisse le nazionali trattenendo i migliori giocatori, il fascino delle competizioni classiche (come il Sei Nazioni e i Test Match autunnali/estivi) potrebbe svanire. Alcune federazioni minacciano di sanzionare gli atleti che a quel punto non sarebbero più conformi alle regole internazionali, anche se i soldi messi sul tavolo per gli stipendi sono tanti e fanno gola.

I campionati verrebbero “spogliati” di talento, compromettendo l’integrità dei club e l’equilibrio competitivo. Il Rugby League australiano ha già spoilerato potenziali offerte milionarie per star come Tuivasa‑Sheck, Ryan Papenhuyzen o Kalyn Ponga. Le trattative stanno creando un’ondata di allerta tra i dirigenti NRL. Non dappertutto è emergenza esodati, ma l’escalation monetaria è reale.

L’Italia sta facendo i conti con le avances della Rebel League. Secondo la stampa veneta (Il Gazzettino ne parla nell’edizione del 30 luglio) ci sarebbero almeno 6 giocatori Azzurri già contattati per entrare nel novero delle star sotto contratto di R360.

Salvagente per il rugby mondiale o trastullo in mano a ricchi tycoon?

La crisi del rugby union esiste e non è solo percezione. Sono pochi i club e le federazioni che riescono a far quadrare i conti, lo raccontano le cronache recenti e lo si percepisce dai continui tentativi di aumentare una fan base che si mobilita concretamente solo in occasione dei grandi eventi.

Il rugby però è uno sport molto legato alla tradizione e l’eventualità di un torneo da giocare in luoghi ‘esotici’, storicamente privi di un radicamento territoriale, è un rischio di non poco conto. I contenuti tecnici inoltre sarebbero tutti da verificare: il rapido allestimento di una squadra di stelle assemblate con il solo scopo di fare rugby entertainment, quasi mai si traduce in spettacolo automatico e prestazioni durature.

E i tifosi? Sicuramente il management che sta lavorando su R360 avrà fatto i suoi conti, ma il rischio di un circuito d’élite che sbarca, ad esempio, a Singapore per un match tra una franchigia di Miami e una di Tokyo, possa non fare realmente presa sul pubblico, è reale.

Il cuore dei campionati più seguiti (vedi il Top 14) sta nelle sfide tra club rivali, con tifoserie che sentono di poter trasferire sugli spalti un’appartenenza, una vicinanza ai propri beniamini. L’obiettivo di chi vuole apportare cambiamenti radicali, semmai, dovrebbe essere quello di rendere i tornei domestici più sostenibili sul piano economico e capaci di esprimere un numero maggiore di squadre in lizza per vincere il titolo.

Gli sconfinamenti transnazionali portano benefici economici, ma a che prezzo? L’inserimento delle sudafricane in URC, Champions Cup e Challenge Cup ha  regalato un bel bottino di soldi e anche un mix di difficoltà logistiche combinate da situazioni piuttosto paradossali. Partite in stadi vuoti e sfide di cartello talvolta snobbate sono davvero ciò che serve per far crescere lo spettacolo?

Nessuno può obbligare la famiglia Glazer che ha un patrimonio di 7 miliardi di dollari a spendere le proprie risorse sulla Premiership, l’URC o il Super Rugby, ma appare chiaro che non tutti gli sport siano adatti ad assorbire positivamente le dinamiche espresse da una Superlega. Il rugby, a mio modesto parere, non è tra questi.