Rugby folle e istintivo. A tutti piace, ma pochi lo utilizzano

«Che cos’è il genio? È fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità d’esecuzione.»

Sfogliando il match day programme della finale di Challenge Cup fra Clermont e La Rochelle balza all’occhio un dato. Il giocatore che fin lì ha segnato di più nell’edizione 2018/19 è Carlo Canna, numero 10 delle Zebre, con 54 punti. Un bel risultato individuale per un giocatore che rappresenta un punto di riferimento imprescindibile del suo club, ma che oggi fatica a ritagliarsi spazio nella squadra nazionale. Ihaia West de La Rochelle realizzerà 11 punti in finale e il primato del top scorer diventerà suo, ma  poco importa, perché il mediano di apertura italiano ha dimostrato a più riprese di valere molto in ambito continentale e il suo ruolino di marcia lo conferma.

Sempre in Europa non può passare inosservata la conquista del titolo di European Player of the Year da parte di Alex Goode. Festeggiamenti nel pub a parte, stiamo parlando di un giocatore dal talento indiscusso che riesce a coniugare un grande atletismo alla fedeltà con il piano di gioco professato dai Saracens. Fenomenale nel battere sempre il primo difensore, grazie ad un gioco di gambe unico nel suo genere, si è costruito una fama internazionale con il suo club. Amato dai tifosi, apprezzato dalla stampa, proprio non riesce a far breccia nei pensieri di Eddie Jones.

Vogliamo spendere due parole su Danny Cipriani? Il mediano di apertura del Gloucester sta guidando la squadra dei cherry & white verso i play off e ha appena ricevuto la palma del giocatore dell’anno dalla giuria della Rugby Players Association. Per il numero 10 dal cognome italico, noto sui tabloid col nomignolo di ‘Celebriani’, le presenze in nazionale sono ad oggi soltanto sedici. Anche se la concorrenza all’interno del XV della rosa è stata per anni difficile sembra che Cipriani abbia trovato una continuità di rendimento che nelle ultime stagioni non aveva mai raggiunto.  Migliorato sensibilmente nella capacità di garantire una regia collettiva, non disdegna passaggi acrobatici e follie mai fini a se stesse. Apprezzato da Sir Jonny Wilkinson che non ha mai fatto mistero di vederlo giocare con piacere, al momento sembra che Cipriani possa continuare ad incantare solo e soltanto i tifosi del Kingsholm stadium.

Non è il caso di scomodare casi come quello di Quade Cooper. Il folletto australiano, seppur in ripresa e nuovamente protagonista in Super Rugby, si è dimostrato negli anni tanto pirotecnico quanto spesso poco incline a giocare per la squadra. Oggi appare sempre più  evidente che il rugby internazionale faccia fatica ad accogliere i giocatori che riempiono di gioia gli occhi dei tifosi. Per tornare alle questioni nostrane, Carlo Canna è perfettamente integrato nel gioco espansivo predicato da Bradley, ama usare un repertorio tecnico vario e fatto di calcetti, passaggi imprevedibili e attacchi audaci spesso portati in prima persona. Questa capacità di alternare varie forme di attacco e’ sufficiente per scalfire il posto in azzurro di Tommaso Allan? Al momento no. Conor O’Shea vuole certezze, anche a discapito dell’imprevedibilità. E questo sembra essere il leit motiv dei coach che hanno necessità impellente di fare risultato. Non sembra esserci molto spazio per i giocatori creativi, soprattutto quando il gioco si fa duro e la competizione diventa accesa come accade durante la Coppa del Mondo o il Sei Nazioni. Ecco che Gatland si affida al regolare Gareth Anscombe per vincere il Grande Slam e il robotico (in termini di perfezione) Owen Farrell è il punto nevralgico del gioco di Eddie Jones. Per non parlare di Jonathan Sexton che è la trasposizione fedele sul campo di gioco del pensiero tecnico pluridettagliato di Joe Schmidt.

Si tratta di una tendenza che appare costante nel tempo. Andando a frugare nel cassetto dei ricordi, durante la RWC 2007 la Francia di Bernard Laporte, nonostante si presentasse alla kermesse iridata con un gruppo pieno di talento, non esitò a mettere da parte la classe imprevedibile di Poitrenaud e Michalak per il rigido formalismo di Beauxis e Traille. Due cannonieri dalle mani ordinarie e dal piede supersonico. Era l’inizio della fine del celebre french flair? La risposta sembra scontata, visto che oggi i blues non esitano a giocare un rugby tanto muscolare quanto poco vincente.

Ogni allenatore sceglie i giocatori in base a ciò che di positivo possono portare alla propria squadra, ci mancherebbe. Come affermato dall’ormai ex allenatore della Juve Massimiliano Allegri, lo spettacolo si fa al circo e alla fine dei conti sono i risultati quelli che contano. Detto da un allenatore di calcio pieno di scudetti nel palmares ha un certo peso. Ogni tifoso allo stesso tempo ama lo spettacolo e preferisce riguardare gli highlights del passato di Carlos Spencer o quelli più recenti di Finn Russell, unico giocoliere oggi realmente inamovibile fra le nazionali del Tier 1. Il mediano di apertura scozzese però ha la fortuna di avere alle spalle un tecnico come Gregor Townsend, che del rugby di istinto ne ha fatto una filosofia di vita fin dai tempi in cui era giocatore. Dunque un caso piuttosto singolare fra le nazionali che puntano al Top della classifica mondiale. La Scozia però non è una squadra che fa solo spettacolo e anzi, è riuscita a scalare le posizioni del rugby mondiale anche grazie al suo gioco. Appare sempre più chiaro che il rugby ha bisogno di essere efficace per portare risultati e non può essere un teorema incontestabile quello che i giocatori in cabina di regia capaci di dare spettacolo poi siano inaffidabili nella gestione del match. Spesso è così, ma esistono valide eccezioni che confermano la regola.

La domanda sorge spontanea. Quali saranno i giocatori capaci di rompere gli schemi senza distruggere il game plan dei propri allenatori? In Italia sicuramente ne abbiamo uno che prende il nome di Matteo Minozzi.

Non resta che aspettare la fine di settembre per vedere se in Giappone verrà alla ribalta un nuovo fenomeno in grado di infiammare i palati fini del rugby internazionale.