Il sogno olimpico passa da Colomiers: a tu per tu con Andy Vilk

Lo stato dell'arte del Seven maschile con il coach della nazionale italiana.

Il rugby Seven europeo accende i riflettori sul torneo olimpico in programma nel sud della Francia sabato 13 e domenica 14 luglio. Abbiamo scambiato qualche battuta con Andy Vilk, responsabile tecnico della Nazionale Italiana Seven e vero motore del movimento a sette della penisola.

Il torneo di Qualificazione Olimpica a Colomiers si presenta molto agguerrito. In termini pratici che cosa ci attende in terra francese?

Il torneo non poteva essere più difficile. A Colomiers ci sarà tutto il gotha del Rugby Seven europeo schierato ai nastri di partenza. In Francia sta salendo l’attesa per un evento che inevitabilmente diventa decisivo per molte federazioni.  Il meccanismo è molto semplice: chi vince il torneo di qualificazione olimpica del 13/14 luglio accede direttamente a Tokyo 2020. Le squadre classificate seconde e terze parteciperanno al World Repechage che si giocherà a giugno 2020 e assegna il dodicesimo e ultimo posto per la rassegna olimpica. Ci serve dunque arrivare fra le prime tre. Per ottenere questo risultato abbiamo puntato il focus sul primo giorno di gare dove inevitabilmente si decidono le sorti del torneo. Gli avversari di turno Francia, Portogallo, Ungheria hanno già dimostrato di essere strutturate per arrivare ai quarti. La Francia ha grandi qualità individuali, il Portogallo ha tradizione nella disciplina ed è stato capace di batterci con grande agonismo ai supplementari nel torneo di Mosca, mentre l’Ungheria è una squadra che non parte fra le favorite ma sa bene come gestire le fasi di possesso del pallone e quindi anche la partita con loro non può essere catalogata come un impegno agevole. Niente è scontato, cerchiamo di giocarcela con tutti.

2) La squadra inizia a trovare una sua identità.  Il gruppo è costruito intorno ad atleti che giocano il rugby a XV fra Top 12 e Serie A e che si stanno adattando alle dinamiche del Seven. Quali caratteristiche sono fondamentali per specializzare i profili dedicati a questa disciplina?

La prima caratteristica associata al Seven è la velocità, ma non è un requisito sufficiente.  Io cerco di rimarcare sempre il concetto di attitudine come componente fondamentale. Il rugby a sette è uno sport totale per cui diventa impossibile nascondersi e rinunciare ad alcune fasi di gioco. La prestazione individuale è sotto gli occhi di tutti proprio perché gli spazi da coprire sono molto più ampi di quelli del rugby a XV. Ciò che fai o che non fai è tremendamente evidente. Ogni chiusura in difesa, ogni intervento in attacco vanno portati al massimo delle proprie possibilità da parte di tutti i sette attori in gioco. Se manca l’attitudine anche solo di un componente della squadra ci si trova a dover difendere ed attaccare in sei contro sette su un campo di dimensioni regolamentari. Un deficit numerico che rende la performance praticamente impossibile. Poi ci sono tutte le skills basiche del rugby. Saper effettuare il passaggio negli spazi allargati, placcare e recuperare, evadere dal placcaggio, esplorare il campo con l’uso del piede. In quattordici minuti è necessario concentrare questo mix di abilità con grande efficacia. Il Seven non perdona: da un placcaggio sbagliato nasce una marcatura per la squadra avversaria.

3) Per i puristi del rugby a XV è sempre difficile parlare in termini entusiastici del Seven. Eppure è una versione del rugby che alcuni allenatori apprezzano. In cosa può diventare uno strumento di sviluppo delle competenze tecniche?

Praticamente in tutto. La disponibilità che si deve avere nel Seven è la stessa che serve nel rugby a quindici. Cambia il numero di ripetizioni, ma non il concetto. Il work rate di un giocatore di rugby a sette è sempre molto alto per le ragioni di cui abbiamo già parlato. Abituarsi a difendere con i canali molto più larghi è propedeutico anche per chi poi si ritrova a vivere la stessa situazione in un segmento di gioco a quindici giocatori. E’ un processo di allenamento che stimola a migliorare il timing e la percentuale di riuscita dei placcaggi.  Una differenza sostanziale sta nella ricerca ossessiva dell’avanzamento. Se nel rugby a quindici è un principio non negoziabile, nel rugby a sette esistono molteplici situazioni in cui il portatore di palla indietreggia o si trova a percorrere traiettorie diverse alla ricerca dello spazio e del relativo squilibrio fra attacco e difesa.

4) Le gerarchie mondiali non sembrano essere troppo in discussione. Le Fiji continuano a dettare legge in lungo e in largo. In Europa quali sono i nostri competitors diretti?

Gli USA hanno dimostrato di essere una big del rugby a sette mondiale cambiando parzialmente le gerarchie delle migliori tre formazioni del globo. Analizzando la situazione delle nostre avversarie, possiamo comprendere che il contesto europeo in cui ci muoviamo è diviso in due livelli fra le sei squadre che partecipano alle World Series che sono Galles, Irlanda, Irlanda, Inghilterra, Francia e Spagna e il secondo blocco composto da Germania, Russia, Polonia, Portogallo, Georgia ed Italia. Con le avversarie dirette che non partecipano al circuito mondiale ci giochiamo la qualificazione al torneo di Hong Kong dove oltre alle 16 squadre del pannello principale si gioca un secondo torneo a 12 squadre che attraverso la vincitrice decreta l’accesso ai Core Team delle World Series per la stagione successiva. Credo che il secondo blocco europeo ci possa vedere protagonisti, anche se dobbiamo sempre tenere in mente che ci scontriamo con realtà che tradizionalmente sanno bene come giocare a Seven. Sappiamo che non è una strada facile da percorrere, ma abbiamo tutta la voglia di provarci.

5) Il Giappone che domina l’Universiade è un segnale isolato?

Non sono a conoscenza di un progetto speciale dedicato al Seven da parte della federazione nipponica. Una cosa però è sicura: quando i giapponesi decidono di prepararsi ad un evento sportivo, di solito lo fanno al massimo delle proprie forze. A Napoli non c’è stata storia, anche se la confidenza con il Seven arriva da lontano. Basti pensare che all’Olimpiade 2016 hanno battuto la Nuova Zelanda e si sono classificati terzi assoluti dopo aver ceduto in semifinale agli inarrivabili figiani. Il Giappone è una squadra strutturata per l’alto livello.

5) Il progetto FIR del rugby a sette è basato su una programmazione pluriennale. Come valuti la crescita del movimento, anche attraverso i tornei sparsi per il territorio nazionale?

La federazione insieme ai club e ai comitati regionali sta costruendo una progettualità che possa garantire al movimento un deciso passo in avanti. Quando realtà consolidate come San Donà e Rovigo si muovono per organizzare tornei di ottimo livello tutti ne abbiamo un beneficio. Ho fatto l’esempio di questi due club perché di recente si è giocato il Sevenice Rugby e il Rovigo 7s che in breve tempo hanno preso quota fra gli eventi estivi, raggruppando anche un buon numero di pubblico. L’obiettivo deve essere quello di costruire una cultura di rugby a sette e lavorare di concerto con i club che hanno la voglia di mettere in calendario tornei dedicati. Se gli appuntamenti aumentano i miglioramenti arrivano per  tutti, compresa la squadra nazionale. I nostri ragazzi infatti hanno bisogno di giocare anche e soprattutto per gestire meglio la scansione temporale dei tornei. Non siamo ancora abituati a dosare le energie fisiche e mentali durante tutto l’arco delle competizioni, e questo passaggio lo si ottiene solo giocando di più.

6) Mettiamo un attimo da parte il sogno olimpico. Quali sono i prossimi step per il consolidamento del gruppo azzurro?

Posso dirti quale è lo step principale che vogliamo raggiungere nel prossimo futuro.  Accedere alle World Series. Questo perché è molto difficile puntare alla qualificazione olimpica senza aver mai assaggiato prima il livello del circuito mondiale. Il gruppo in questa fase ha cambiato pelle e si sta ringiovanendo. Alle recenti Universiadi sono stati inseriti sei nuovi atleti che non avevano mai fatto un torneo internazionale. Stesso destino per le tappe recente di Mosca in cui praticamente metà squadra era al passo di esordio. Il talento c’è e lo stiamo scoprendo, l’esperienza invece è l’elemento su cui stiamo lavorando e che ci serve per fare il definitivo salto di qualità.