Rassie il comunicatore

Circola da qualche giorno un video che sta facendo il giro del mondo ovale. E’ quello del discorso pre gara di Rassie Erasmus in occasione della finale di Coppa del Mondo fra Sudafrica e Inghilterra.

Non è frequente che gli elementi di comunicazione interna di una squadra così sotto i riflettori diventino di pubblico dominio. In una società dove tutto viene condiviso continuamente, chi percepisce ed applica la forza e l’importanza della riservatezza acquisisce un arma in più. Proprio per questo la misura degli interventi in pubblico è fondamentale per non avere ripercussioni all’esterno. Basterebbe chiedere a Eddie Jones cosa significhi accendere in maniera provocatoria la miccia dell’agonismo a ridosso di una partita importante. I francesi sicuramente saprebbero cosa rispondere.

Tornando sullo speech di Rassie Erasmus dobbiamo prendere in esame alcuni spunti che la dicono lunga su quanto la RWC degli Springboks sia stata preparata nei minimi dettagli, anche e soprattutto nella scelta di cosa dire, quando dirlo e come dirlo.

Il discorso alla squadra è all’interno dello spogliatoio, dietro di lui la consueta lavagna che riassume le linee guida e gli obiettivi tecnici del match. In primo piano Rassie Erasmus, camicia sbottonata, niente giacca e niente cravatta. Come a voler dire: in trincea ci sono anche io. Dalla cabina di regia, come vostro timoniere, ma ci sono anche io.

Il linguaggio. Erasmus non sembra Al Pacino in “Ogni maledetta domenica”. Sa bene che deve toccare dei tasti diversi rispetto a quelli emozionali della pura adrenalina. Una finale di Coppa del Mondo può capitare una volta ogni quattro anni come una sola volta nella vita. O gestisci le emozioni del tuo gruppo, e lo fai con lucida motivazione, o il fuoco della passione rischia di bruciarti senza che ci sia una seconda possibilità.

“Quello che sto cercando di dire è che se giochi di merda oggi, non hai il diritto di abbassare la testa. Non riguarda te .

“Oggi non hai il diritto di preoccuparti dei tuoi errori”,

“Se ti preoccupi dei tuoi errori hai un problema di ego.”

“Mi preoccuperò io per i tuoi errori.”

Queste parole denotano un grande temperamento, anzi un segno di rottura con il passato. Il Sudafrica non ha mai aperto le porte del suo spogliatoio, ma ha attraversato una lunga fase in cui la capacità di intimorire e dominare fisicamente gli avversari sembrava essere riconducibile ad una cultura di coaching molto autoritaria. Basti pensare al caso di Rudolph Straeuli che portò i suoi Boks a preparare il mondiale del 2003 nel un campo di addestramento militare dell’esercito sudafricano, il famigerato Kamp Staaldraad. Fallendo miseramente l’obiettivo trall’altro.

Qui è tutto diverso. Erasmus spinge i suoi ragazzi a giocare bene, a essere consapevoli dell’importanza vitale del match senza che il peso degli errori possa stritolarli. Lo fa con un tono asciutto, non paternale. Voi siete la mia squadra, io sono il vostro coach. Voi rendete in campo, io correggerò i vostri errori fuori.

Gestione dell’errore. Impedire che alla fine degli ottanta minuti si possa riconoscere all’avversario di essere stato più bravo di noi. Se il pallone cade o l’avversario sfugge, si tratta di un errore. Però è necessario mantenere l’attenzione verso le azioni successive, evitando che lo sbaglio possa creare un cortocircuito fatale ai fini del risultato. Probabilmente si tratta dell’ABC dello Psicologo Sportivo (non essendo io che scrivo uno di essi mi lascio il beneficio del dubbio), ma a sentire Erasmus che ne parla con quel tono così autorevole, viene voglia di indossare la maglia da gioco e scendere in campo a lottare senza timore.

“Se perdi una rimessa laterale, salta più in alto e vai a fare il placcaggio successivo. Se manchi un placcaggio, alzati e vai  contestare la prossima ruck.”

“Partecipa a 120 battaglie e vincine 80, ma non essere coinvolto in 50 per perderne soltanto 4.”

Poi il passaggio più suggestivo. Quello in cui Erasmus parla a nome di un paese falcidiato dalle lotte sociali e da problemi che sono di gran lunga più delicati rispetto ad un placcaggio eseguito male. Cerca nei suoi giocatori una mission superiore, quella di dare speranza alla nazione e si rivolge al capitano Siya Kolisi, cresciuto nella povertà delle periferie di Port Elizabeth: “Stai combattendo, Siya, perché il prossimo Siya non soffra come hai sofferto tu.” Interviene sugli stessi elementi di ispirazione con Am e Mapimpi, due ragazzi arrivati in nazionale senza che la luce della ribalta fosse puntata su di loro e, nel caso di Mapimpi, con un passato di analoga povertà a quella di Kolisi. “Lukhanyo (Am), stai combattendo per il ragazzo che alla fine non ha avuto le opportunità che hai avuto, come (Makazole) Mapimpi.”

Questo è il secondo video pubblicato sul profilo Twitter di Erasmus.

Rassie Erasmus è stato il vero artefice dell’impresa sudafricana in Giappone. Ha preso una squadra caduta in disgrazia e l’ha rigenerata portandola a scoprire nuovamente i suoi principi cardine che erano andati persi con troppa facilità.

La pubblicazione dei video è arrivata in risposta alle illazioni sul suo futuro che lo vorrebbero alla guida dell’Inghilterra al posto di Eddie Jones. Un consiglio alla SARU? Tenetevi stretto il vostro Director Of Rugby.