Testimoni

Il migliore dei rugby possibili

Ricordate quella campagna pubblicitaria di Nike, ormai diversi anni fa, realizzata per Lebron James? We are all witnessessiamo tutti testimoni.

Testimoni di un pezzo di storia dello sport che si dipana sotto i nostri occhi. E’ una sensazione particolare sapere di star vivendo mentre tutto questo accade: stai vedendo succedere qualcosa che verrà raccontato dai posteri, che fra 10 anni sarà il soggetto di qualche pagina di Facebook dalle atmosfere nostalgiche, che risveglierà sopiti dibattiti a ogni futura celebrazione del decimo anniversario/ventesimo anniversario/compleanno del protagonista.



Chi sa solo di rugby non sa niente di rugby

Reduci dalla chiusura dell’edizione più strana, folle e complicata della storia del Sei Nazioni, per responsabilità a carico di soggetto alcuno, e da tre partite di Bledisloe Cup fra Australia e Nuova Zelanda, possiamo sentirci anche noi, nella nostra amata nicchia, tutti testimoni.

Mentre là fuori infuria il caos e un vortice di notizie l’una peggio dell’altra ci getta in uno sconforto crescente, mentre la sopravvivenza stessa dello sport per come lo conosciamo viene messa a repentaglio, sul palcoscenico elitario del rugby professionistico non c’è mai stato un momento migliore per godere delle prodezze dei protagonisti dello spettacolo.

Solo in quest’ultimo fine settimana Alun Wyn Jones ha stabilito il nuovo record di presenze a livello internazionale, e non accenna a volersi fermare. Il capitano del Galles è già una sorta di leggenda vivente, uno di quei personaggi a cui intitolare stadi e strade quando ancora in vita. A lui potrebbe accadere mentre è ancora in attività, l’unico motivo per cui i gallesi non l’hanno ancora fatto e probabilmente perché da quelle parti di Via Jones ce ne sono già parecchie.

Ben Youngs e Cian Healy, 31 e 33 anni rispettivamente, hanno festeggiato il centesimo cap segnando entrambi lo scorso fine settimana. Youngs ha regolato l’Italia con una doppietta che gli ha consentito di essere anche eletto man of the match, e continua a solcare i campi con la sua eleganza e la sua classe. Un giocatore troppe volte passato sotto traccia: in Inghilterra deve ancora nascere un numero 9 migliore di lui. Il pilone irlandese, invece, è un veterano di mille battaglie che continua a essere un punto di riferimento nel suo ruolo, dove nessun altro è ancora in grado di scalzarlo.

In Nuova Zelanda, Aaron Smith è entrato nella top 10 dei giocatori più presenti di sempre con gli All Blacks, vincendo il suo 95esimo cap. Avete presente la competizione che c’è da quelle parti? Arrivare ad essere un centurione in quel contesto è una roba da far accapponare la pelle. E dopo 95 presenze, Smith possiede ancora il miglior passaggio del mondo.

Jones, Smith, Youngs e Healy fanno parte di quel lotto di giocatori che si sta avviando sul viale del tramonto senza alcuna fretta, sulla cresta dell’onda da così tanto tempo che noi spettatori siamo assuefatti alla loro costante presenza, tanto che ci è difficile decifrare la loro reale statura come giocatori, riducendo spesso la conversazione a “ma quanto è forte coso”.



Ma non è solo merito delle gesta di chi c’è sempre stato se il rugby contemporaneo sta facendo la storia del gioco. Anzi, sono proprio le nuove leve a sparigliare le carte e a far impennare la curva del godimento nello spettatore.

Australia-All Blacks di sabato mattina non sarà stata la partita più sul filo degli ultimi tempi (eufemismo: è la peggior sconfitta dell’Australia contro i tuttineri in termini di scarto), ma è stato certamente spettacolare essere testimoni della definitiva assunzione di Richie Mo’unga all’Olimpo dei grandi.

L’apertura degli All Blacks ha giocato semplicemente una partita favolosa, allungando le mani sulla tanto discussa maglia numero 10 in maniera un po’ più definitiva. In fase offensiva, il first 5/8 dei Crusaders è stato semplicemente letale, imprendibile, una delizia per gli occhi. Con la squadra tri-campione del Super Rugby, Mo’unga è un costante protagonista perché il pallone passa sempre e invariabilmente da lui, e con tutta la qualità che ha riesce a fare la differenza. In nazionale accade molto meno, ed è per questo che in alcune occasioni sembra un giocatore un po’ in ombra, o meno incisivo di quanto vorremmo che fosse il titolare all’apertura della squadra più forte del mondo.

Se andiamo però a vedere i momenti decisivi di tutte e tre le gare della Bledisloe, fate attenzione: sono i momenti in cui Richie Mo’unga riesce ad avere più tocchi consecutivi del pallone quelli in cui gli All Blacks fanno la differenza.



Su Sky Sport neozelandese c’è una sorta di Forum, solo che al posto dei contendenti che se ne dicono di tutti i colori, c’è Mils Muliaina che vi racconta di Richie Mo’unga

Emerso relativamente tardi, il classe 1994 Richie Mo’unga non è esattamente un profilo di primissimo pelo, ma questo non significa che le generazioni più giovani non abbiano la loro quota di rappresentanza.

Guardiamo la lista dei candidati a miglior giocatore del Sei Nazioni 2020. La Francia candida tre nomi: Antoine Dupont, Greg Alldritt, Romain Ntamack. Anno di nascita: 1996, 1997, 1999. Se ancora questi tre giocatori non hanno, per ragioni meramente cronologiche, raggiunto lo status di leggenda è perché per il momento si limitano ad essere fenomeni.

Se di Dupont, che con Aaron Smith già si contende il titolo di miglior mediano di mischia del mondo, si è già parlato, e Romain Ntamack possiede un talento talmente abbagliante che già dalla prima comparsa al mondiale under 20 eravamo coscienti di essere di fronte a uno di quelli speciali, chi è cresciuto maggiormente nell’ombra agli occhi dei più è Greg Alldritt, il candidato preferito da Ohvale.



Secondo i dati ufficiali presenti sul sito del Torneo, il terza centro della Francia è il giocatore che ha contestato più ruck degli avversari, è secondo per palloni rubati al breakdown, secondo per numero di placcaggi, secondo per numero di penetrazioni e terzo per metri fatti.

Con questi nomi, e con quello che esprimono in maniera impressionante sul campo, non c’è altra cosa da fare che trasformarsi in un moderno Pangloss sportivo, annunciando che questo è il migliore dei mondi possibili.

Almeno in questo piccolo universo, quello del rugby d’alto livello.