Bidoni, meteore, incompresi e fenomeni parastatali: il mucchio selvaggio di Italrugby

Meteore & Matricole è il nome di una fortunata trasmissione televisiva condotta da Enrico Papi nel 2002.

Iniziava con il jingle di Starman, la canzone di David Bowie e portava sul grande schermo gli esordi televisivi dei Vip o riportava a galla personaggi famosi caduti in disgrazia.

Voi direte: che c’azzecca tutto questo con la palla ovale? Niente risponderemo noi. Però con il Sei Nazioni finito, il Tour dei Lions ancora distante e il rugby nostrano che vive sulle onde di un inutile e futile gossip, proviamo a giocare con i ricordi raccontando le figure mitologiche che sono transitate in Italia, dividendole in tre categorie.

  1. Italbidoni & Meteore tricolori – Nomi esotici, oriundi o equiparati che dovevano spaccare il mondo e invece sono tornati a casa mestamente, fra apparizioni fugaci e talvolta intangibili.
  2. Incompresi – Giocatori che non hanno trovato la giusta considerazione nonostante indubbie qualità.
  3. Fenomeni Parastatali – Cose apparentemente serie che diventano comiche.

Italbidoni & Meteore tricolori 

Vista la facilità con cui si può diventare eleggibili, ogni squadra nazionale che galleggia fra il paradiso del Tier 1 e le secche del Tier 2 è soggetta a diventare territorio di conquista per stranieri di ogni livello. Alcuni lasciano il segno, altri colmano un vuoto temporaneo, altri ancora invece raccolgono pernacchie.

Stiamo parlando dei cosiddetti Bidoni, quegli atleti professionisti che arrivano in un nuovo club con un carico enorme di aspettative e poi si rivelano delle pippe leggendarie.

Il termine Bidone (che utilizzeremo con tono ironico, vogliamo ricordarlo) è un fenomeno di matrice calcistica, di solito molto frequente nel contesto italiano degli anni 80/90.

Vuoi perché alcuni Presidenti squattrinati dovevano far fronte ai bilanci, vuoi perché le curve degli ultras di provincia sembravano infiammarsi più per un brasiliano della provincia di Manaus piuttosto che per un giovane talento della provincia di Pavia, fatto sta che di stranieri scarsi in serie A di calcio (leggetevi la storia di Luis Silvio Danuello) ne sono stati acquistati tanti.

Nel rugby la questione è un po’ diversa, anche perché i nostri campionati di default sono già poveri e quindi la possibilità di avere nomi altisonanti è automaticamente ridotta al lumicino.

Più che di bidoni infatti potremmo parlare di stranieri in cerca di gloria.

Si, in questa modalità ne abbiamo visti un sacco.

Ma anche in quel caso ciò che fa la differenza fra il buon giocatore e la pippa stellare è solo il carico di aspettative che lo accompagna.

A questo punto arriviamo al nocciolo della questione e spostiamo la bussola sulla nazionale, il vero e unico club dell’Italia rugbistica, dove la lista dei presunti salvatori della patria poi naufragati nell’oblio è lunghissima. Affronteremo il tema parlando dei ragazzi che sono transitati in azzurro, senza prendere in considerazione i campionati federali.

Il primo giocatore equiparato della storia italiana fu Matt Philipps, numero 8 neozelandese del Viadana, semi sosia di Quentin Tarantino, che tra il 2002 e il 2003 tutto sommato fece il suo dovere.

Non tutti se la sono cavata come lui.

  • Puntata n.1: Haimona, Spragg, Gower, Bortolussi
Kelly Haimona

Fra i tanti italbidoni il ragazzo Maori di Rotorua occupa un posto di assoluto rilievo. Non ce ne voglia il buon Kelly, ragazzo allegro e giocatore volenteroso, ma il suo approdo in nazionale è stato tutto fuorché entusiasmante. Mediano di apertura di Bay of Plenty, arrivato in Italia per giocare con i Lyons Piacenza, compie rapidamente il triplo salto carpiato dal torneo amateur di serie A1 fino all’azzurro della nazionale.

Non prima di essere passato dal sentiero degli Dei che passa per Calvisano e poi per le Zebre.

Era l’Italia di Giacomo Brunel, quella in cui il duetto composto da Allan e Canna stava salendo lentamente alla ribalta e il rebus del mediano di apertura non trovava ancora soluzione.

Haimona viene chiamato per garantire punti e fantasia, oltre che per riempire uno spot storicamente sguarnito. In un balzello si trova ad indossare la n.10 con relative responsabilità e pressioni implicite.

La partenza è rassicurante. Bagna l’esordio azzurro realizzando 14 dei 24 punti che piegano Samoa  ad Ascoli Piceno. È il novembre 2014, da lì al mondiale inglese manca meno di un anno e Kelly Haimona, complice una struttura fisica probabilmente non adeguata al ruolo, cala sensibilmente il livello delle sue prestazioni evidenziando una lentezza poco consona al rugby internazionale.

Passa un Six Nations non esaltante dove di lui si ricorda un passaggio teso che genera la prima meta di intercetto della Scozia nella nostra ultima vittoria all’interno del torneo continentale.

Si infortunerà gravemente al braccio poco prima della RWC 2015 e non riuscirà a recuperare in tempo per la kermesse iridata. A quel punto le strade dell’Italia e di Haimona si dividono esattamente come si erano unite. Con eccessiva rapidità.

Kelly in numeri: 11 presenze e 65 punti.

Warren Spragg

Il Cap è un risultato individuale che spesso corona una carriera costellata di sforzi e sacrifici.

La FIR negli anni ha giustamente omaggiato tutti i suoi azzurri, da chi in nazionale ha fatto una presenza a chi ne ha accumulate più di 100.

Chissà se alla cerimonia ufficiale ha mai partecipato anche l’ex Calvisano e Petrarca Warren Spragg. Trequarti ala inglese dalla meta facile (più che altro in Super 10..) che nel 2006 compare misteriosamente fra i titolari del Test Match Italia vs Canada.

Una sola presenza senza lasciare alcun segno e un interrogativo lungo 15 anni: il suo contributo è servito a qualcosa?


I numeri di Warren: 1 presenza e 0 punti

Craig Gower

C’è stato un momento in cui nessun allenatore, dirigente o sciamano della FIR sapesse dove sbattere la testa. Passata l’era Dominguez infatti non si riusciva in nessun modo a trovare un numero 10 che accontentasse le esigenze del coach di turno.

Nel 2009 alla guida degli azzurri arriva Nick Mallet, un allenatore che crede in un principio semplice e molto sudafricano: il mediano di apertura deve placcare come un samurai. Lui forse esagera un po’ e schiaffa Andrea Masi a numero 10 per tutto il Sei Nazioni 2008. Fa niente, è una soluzione temporanea, si capisce.

Per questo i buoni uffici federali si attivano e trovano un giocatore del Bayonne dotato di parenti italiani che in buona sostanza potrebbe fare al caso nostro.

L’obiettivo è portare in azzurro il fenomeno australiano Craig Gower.

Ah! Ci eravamo scordati un piccolo particolare, Gower quando arriva in Italia è si un fenomeno, ma lo è nel Rugby League e non nel Rugby Union. Milita in Top 14 dove di atti funambolici e genialate da circense non se ne sono ancora visti.

In azzurro si prende subito la regia della squadra, fa vedere qualche numero (bravo nell’attirare i difensori e creare incertezza nel muro avversario), ha personalità, solo che risulta  discontinuo e non riesce a fare la differenza per tutti gli 80 minuti.

Così, quando sembra essere in procinto di guidare la batteria dei trequarti al mondiale 2011, il buon Craig, non voluto dalle nostre franchigie perché troppo costoso, saluta capre e cavoli per tornare a giocare il suo amato rugby a 13 prima a Londra e poi di nuovo in Australia.

Nel frattempo che questo simpatico fromboliere con la faccia da scugnizzo accumula una manciata di caps, noi ci perdiamo la maturazione di Andrea Marcato e Riccardo Bocchino. Un dettaglio trascurabile. O forse no..


I numeri di Craig: 14 presenze e 17 punti

David Bortolussi

Il 2007 è uno dei pochi anni ‘memorabili’ del rugby italiano. La nazionale è competitiva, arrivano due vittorie al Sei Nazioni e si parte per la RWC 2007 con grandi aspettative. Coach francese, mondiale francese e kicker francese.

Da Montpellier infatti viene ripescato un estremo che ha una manciata di presenze accumulate nel biennio precedente: David Bortolussi.

L’anticamera della RWC come di consueto è il Sei Nazioni. Lì a smazzarsi tutto sommato bene la gestione tattica del gioco azzurro sono i vari Pez, Scannavacca e De Marigny.

Di David Bortolussi invece nessuna traccia fino al mondiale dove diventa titolare fisso con licenza di piazzare. Quattro partite senza infamia e senza lode in cui gestisce il triangolo allargato in maniera piuttosto scolastica, fino a regalarci (acciderbola a lui, con affetto s’intende) il famigerato calcio di punizione sbagliato contro la Scozia che di fatto ci nega l’accesso ai quarti di finale.

Troverà posto in nazionale altre due volte terminando la carriera azzurra nel Sei Nazioni 2008 con gli ultimi 14 punti all’attivo nella sconfitta di misura per 19 a 23 contro l’Inghilterra, per poi scomparire lentamente nelle serie minori del rugby francese.

Ad onor del vero Bortolussì non è stato uno scarpone assoluto, ma di certo sulle sue spalle pesa come un macigno quel calcio maledetto di una notte stregata a Saint Etienne.


I numeri di David: 16 presenze e 153 punti