Bilancio semi serio di un anno scintillante

Quando si arriva in prossimità della notte del 31 dicembre è tutto un affrettarsi a pubblicare resoconti di fine anno. Quello di Ohvale è poco ordinato, scevro di statistiche e denso di impressioni raccolte sul campo, in TV, sulle tribune. Insomma, un bilancio personale, non troppo istituzionale che ci teniamo a condividere partendo da qui.

Francia sopra tutti

Il ranking parla chiaro. L’Irlanda è in cima alla graduatoria. Ma viste le caratteristiche non sempre veritiere della classifica mondiale, forse è più giusto guardare cosa è successo complessivamente durante l’anno. Così la Francia diventa automaticamente la miglior squadra del 2023. Gli uomini di Galthiè hanno spostato l’asse delle proprie prestazioni: hanno dimostrato che il modo in cui si arriva alla vittoria è meno importante della vittoria stessa. Di fatto i Blues, mentalmente solidi come non mai, hanno scelto con forza e ardore agonistico di non perdere neanche una gara. Il ruolino di marcia dice 10 su 10 (5 gare del Sei Nazioni, 2 test estivi e 4 test novembrini) e la corona dei migliori va di diritto a loro.

A parte la Francia piglia tutto, la situazione si è fatta incandescente. Sarà la vicinanza al mondiale, sarà l’innalzamento generalizzato del livello medio, sta di fatto che gli emisferi non sono mai stati così vicini. Più o meno tutti possono vincere con tutti. Più o meno tutte le squadre ad esclusione di Irlanda e Francia sono salite sulle montagne russe, tra sconfitte inattese e vittorie autorevoli. 

I risultati più altisonanti del 2022 hanno dei colori ben precisi. Detto del blu, c’è il verde d’Irlanda che ha dominato i test di giugno, ma anche il nero un po’ sbiadito degli All Blacks che, seppur tra un rimpasto tecnico e grossi problemi di leadership, hanno vinto il Rugby Championship più opaco degli ultimi 10 anni. 

A 10 mesi dalla RWC le gerarchie sono quanto mai incerte. Il 2023 si prospetta ricco di spunti e pieno di chiavi di lettura. Come solo ogni anno iridato può essere.

Le prime volte

I 12 mesi trascorsi hanno registrato tante prime assolute. Per la prima volta il Cile accede ad un mondiale, l’Italia batte l’Australia, la Georgia vince in Galles, l’Argentina vince in Nuova Zelanda, il Galles vince in Sudafrica, l’Irlanda vince in Nuova Zelanda. Per la prima volta nella storia La Rochelle vince la Champions Cup, il Lione la Challenge e Montpellier il Top 14. Questo a conferma che il campionato francese è capace di raccogliere titoli e produrre qualità praticamente in ogni squadra del lotto. Per la prima volta la finale di una coppa originariamente ‘celtica’ è stata giocata da due squadre sudafricane: Stormers – Bulls. Il 2022 è anche l’anno che certifica la prima volta di una squadra azzurra ai quarti di un mondiale: l’Italia femminile. Pur dimenticandone tante, le prime volte di questo 2022 sono numerose e i cosiddetti ‘upset’ sempre più frequenti. 

 

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Scandali finanziari, giudiziari e reputazionali

La seconda parte del 2022 ha sbattuto il rugby in prima pagina per ragioni poco edificanti. Le più eclatanti riguardano il fallimento di due squadre come Worcester Warriors e London Wasps. L’intransigenza gestionale inglese non fa sconti e così due realtà storiche hanno alzato bandiera bianca di fronte all’insufficienza di fondi per andare avanti. 

Il fallimento non è una notizia. I club di tutto il mondo possono scomparire o incontrare problemi economici. Inutile rimanere increduli di fronte al capitombolo dei Wasps e degli Warriors. Fa piuttosto riflettere il tema della sostenibilità finanziaria: nonostante il progressivo adeguamento ai parametri del professionismo, rimanere competitivi ad alto livello significa miscelare programmazione, denari e responsabilità. Tre elementi che queste due società (e forse tante altre) non hanno avuto. 

Gli stessi denari maledetti sembrano aver inguaiato Bernard Laporte, potentissimo Presidente della FFR ( e anche Vicepresidente di World Rugby), condannato a due anni di carcere e multato di 75.000 euro da un tribunale francese dopo essere stato riconosciuto colpevole di corruzione.

Al netto della doverosa presunzione di innocenza di Laporte & co., il 2022 verrà ricordato come un anno non facile per il sempre più torbido mondo che si cela dietro le quinte del nostro sport.

 

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Tendenze tecniche

La meta di Lorenzo Cannone da calcio di punizione in Benetton vs Zebre è solo l’ultima di una lunga serie. Sono tantissime le squadre che hanno iniziato a giocare le penalità a ridosso della linea di meta per cercare direttamente la segnatura. È una tendenza introdotta già un paio di anni fa da Exter, serve per abbattere i rischi del possibile cambio di possesso in rimessa laterale. E a conti fatti funziona.

Difficile ipotizzare novità rilevanti per il 2023. Il rugby è uno sport che si evolve anche tornando indietro. La questione dei calci di punizione a 5 metri è emblematica. Ugualmente si può notare una grande attenzione rivolta ai giocatori veloci, senza escludere aprioristicamente quelli più minuti o comunque non dominanti a livello fisico. Parliamo ovviamente della linea dei trequarti, non propriamente del pacchetto di mischia. 

Dopo decenni di difese asfissianti, contrapposte a strutture offensive popolate da giocatori ipertrofici, la destrezza sembra essere tornata una caratteristica irrinunciabile per sparigliare le carte. Basti pensare ai giocatori che hanno illuminato il 2022 del Test Rugby: Marcus Smith e Antoine Dupont nel primo semestre, Kurt Lee Arendse e Ange Capuozzo nel secondo. Quattro frombolieri talentuosi, fantasiosi e capaci di tutto.

 

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La questione disciplinare

Durante le Autumn Nation Series sono stati sventolati 5 cartellini rossi e un numero imprecisato di gialli. Il Sei Nazioni, Il Championship e i test estivi non hanno fatto eccezione. La finale di RWC femminile è cambiata inesorabilmente a causa di un’espulsione al 16’ minuto. Ormai è chiaro che l’occhio del TMO e l’intransigenza dei direttori di gara non consentono più di giocare oltre le regole. Certo, la sfumatura tra il consentito e il non consentito è piuttosto sottile.

Inutile negare che la facilità con cui si arriva all’espulsione ormai condiziona fortemente la trama delle partite. D’altronde il regolamento parla chiaro, i direttori di gara non lasciano intravedere zone di tolleranza e sulla capacità di adattarsi al metro arbitrale si potrebbero muovere gli equilibri della prossima coppa del mondo.

La questione transnazionale

L’immagine degli spalti semi vuoti dello stadio Lanfranchi in occasione della sfida di Challenge Cup giocata a dicembre tra Scarlets e Cheetahs è emblematica. La gara che si è svolta in campo neutro tra una sudafricana e una gallese ha attirato pochissima attenzione, come d’altronde succede già alla Challenge, fatta esclusione per le fasi finali. Nel nuovo scenario delle Coppe Europee 2022/23 si inseriscono di prepotenza proprio le squadre sudafricane, la cui presenza ha trasformato una manifestazione ricca di identità in uno zibaldone che differisce dallo URC solo per la presenza delle francesi e delle inglesi. Il tutto in nome di legittimi interessi economici.

Rugby Europe Super Cup, Super Rugby Americas, Super Rugby Pacific. Da Auckland a Tel Aviv, passando per Buenos Aires e Lautoka, arrivando fino  a Batumi con scalo a Bruxelles, il rugby di club oramai vive solo in funzione delle squadre nazionali. Selezionare i migliori, riunirli in formazioni definite appunto ‘super’ e poi proiettarli in una rinnovata dimensione tecnico – agonistica. Così nascono campionati extra territoriali che aiutano le federazioni a tenere alto il livello degli atleti, forse attirano qualche opportunità di business, ma con grande probabilità sviliscono i tornei domestici. 

Il 2023 e il prossimo futuro non sembrano discostarsi troppo da questa diffusa e controversa strategia di sviluppo. 

In Italia

I due successi degli azzurri a novembre hanno confermato una ovvietà: vincere è l’unica cosa che conta. Le magie di Capuozzo, l’entusiasmo del gruppo e dello staff, l’intraprendenza dei più giovani, sono tutti elementi che hanno riportato gioia tra i tifosi. E di conseguenza visibilità, attenzione e voglia di puntare in alto. La nazionale è un patrimonio che ha ritrovato brillantezza, ma che non può essere l’unico metro di valutazione sull’attività federale nella sua interezza. Il vertice ha imboccato la strada giusta: lo confermano le prestazioni maiuscole dell’Under 20 e della Femminile. 

È stato un anno di ripartenza totale dopo due anni funesti a causa del Covid, quindi anche solo per questa ragione il bicchiere va visto dalla parte mezza piena. Però non si possono gettare nel dimenticatoio alcuni problemi atavici che faticano a trovare soluzione. A parte la sconfitta di Batumi che proprio non si può dimenticare, i campionati nazionali (juniores, seniores, maschili e femminili) abbassano ogni anno il proprio livello, il Top 10 non riesce a smarcarsi dalla cappa di disinteresse che lo attanaglia, il sistema delle franchigie funziona solo dalla parte di Treviso, ci sono intere parti del Paese che non parlano il verbo ovale.

Il paziente è in ripresa, ma la cura è ben lontana dall’essere conclusa. L’auspicio per il 2023 è quello di sempre: vedere una nazionale gagliarda, capace di trainare il movimento e di tenere testa a tutte le squadre del mondo. Con quel pizzico di sana e italica follia che ci ha fatto urlare di gioia a Cardiff, a Padova e a Firenze. 

 

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